venerdì, marzo 07, 2008

di Irene Ghidinelli Panighetti
PeaceReporter

Le voci dei familiari di uno degli attentatori di Gerusalemme, tra stupore e orgoglio


Israele, Gerusalemme - Incredulità e timore a Jabel Mukaber, il villaggio di circa 30mila persone nel primo hinterland di Gerusalemme, dove viveva il palestinese che ieri ha ucciso 8 studenti del collegio rabbinico Mercaz Harav, uno dei simboli del sionismo, dove vengono formati i rabbini capi di molte città e gli insegnanti delle scuole religiose ebraiche.

Oggi a Jabel Mukaber, lo stupore della famiglia, riunita nella grande casa, tra le telecamere della stampa nazionale ed internazionale. Una famiglia benestante, molto conosciuta e che dichiara di non aver mai avuto militanti né nel passato né ora. Arrestati sì, poiché questo è normale per ogni famiglia palestinese, anche la meno attiva. Ma appartenenza politica, nessuna, ripete Yad, 31 anni, cugino dell’attentatore che qui però chiamano martire. Incontro Yad appoggiato ad un muro della casa, dove guarda il via vai di gente e si lascia intervistare dai giornalisti stranieri, grazie al suo inglese fluente.

Suo cugino, dice, era una persona semplice, lovely, lavorava come autista, era religioso certo, ma non integralista. Tra tre mesi avrebbe dovuto sposarsi con Rihad, ragazza di 17 anni che abita in un paese al di là del muro. Stava allestendo l’appartamento in cui sarebbe andato a vivere con la moglie, sempre nella grande casa della famiglia. E’ rimasto allibito Yad quando questa notte la polizia ha fatto irruzione con armi in pugno nella casa degli zii e ha arrestato 7 uomini della famiglia, di cui 5 rilasciati oggi mentre di 2 non ha notizie. Ma ha paura di rappresaglie, una paura che spinge una cugina dell’attentatore a non voler dire il suo nome né ad essere registrata.
Lei ha 34 anni, sposata con figli, e a suo avviso il cugino non ha fatto un attentato, bensì una azione. Ha lo sguardo fiero questa giovane donna, dolore nei suoi occhi ma anche orgoglio per come è morto suo cugino. Eppure, ci ripete, anche per lei sembra esser stato un fulmine a ciel sereno, perché nessuno in famiglia si occupa di politica.
Certo tutti sono arrabbiati per l’ultima aggressione contro Gaza, in questa famiglia come in tutta la Palestina. Lei ha appreso la notizia dalla televisione e poi vedendo la polizia entrare nella casa degli zii urlando e terrorizzando tutti. Le chiedo che cosa ha detto ai suoi figli, e con occhi duri e amari mi risponde che i bambini sanno tutto, ma che ha detto loro di non vergognarsi per ciò che ha fatto il cugino, bensì di esserne fieri, perchè è morto da martire, ha fatto l’unica cosa che si può fare qui a Gerusalemme per resistere perché qui, a differenza di Gaza o di altre città della Cisgiordania, i Palestinesi non possono fare nulla, sono senza speranza e senza sostegno.
Torno a Gerusalemme, in città vecchia dove nel quartiere musulmano i negozi sono chiusi per il giorno festivo, e dove si respira una calma tesa, tra turisti ignari e soldati armati fino ai denti come tutti i giorni. Stessa calma di questa mattina, quando i soldati israeliani e la polizia presidiavano porta Damasco e controllavano tutti i palestinesi uomini sotto i 45 anni. Dopo la preghiera delle 12 non ci sono stati i temuti disordini, che però sono scoppiati nel pomeriggio al monte degli ulivi.
Domani è sabato, giorno di festa per gli ebrei e in molte città dei Territori Occupati giorno in cui i coloni o gli integralisti religiosi si divertono a picchiare e perseguitare i concittadini o compaesani arabi. Si teme quindi per le rappresaglie, visto che invece questa mattina ai funerali degli studenti uccisi non ci sono state dimostrazioni violente: oggi era il giorno del lutto, domani chissà. Ma c’è il sentore che l’episodio di ieri sia l’inizio di una nuova Intifada, almeno così temono e scrivono alcuni giornali israeliani. I giorni a venire smentiranno o confermeranno queste ipotesi, certo è però che qui in Cisgiordania la tensione si è alzata, a dimostrazione che non si può pensare che Gaza sia una realtà a sé, senza influenza su tutto il territorio palestinese che chiede ancora una volta la fine dell’occupazione, se si vuole che azioni come quella di ieri non accadano più.


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