martedì, dicembre 16, 2008
La piccola Dalit, sfigurata da una bomba, è il volto più noto fra le vittime degli attacchi contro i cristiani. Dopo 45 giorni di ospedale, ora è guarita. La sua famiglia di braccianti giornalieri, ha perduto ogni cosa. I timori e le speranze nell’imminenza del Natale.

Bangalore (AsiaNews) – Namrata Nayak è una piccola Dalit di 10 anni, del villaggio di Sahi Panchayat, vicino a Raikia (distretto di Kandhamal, Orissa). Tre mesi fa, allo scoppio delle violenze contro i cristiani, la piccola è stata sfigurata in volto da una bomba lanciata dagli estremisti indù. Dopo 45 giorni di ospedale, la piccola è guarita e ora saltella felice. “Natale è gioia e pace” racconta Namrata, “e io sono così felice qui: tante persone che si prendono cura di noi; tanti che pregano per noi e per la pace e la giustizia a Kandhamal…”. Namrata, insieme a sua mamma Sudhamani e altre 20 persone sono giunte a Bangalore dai campi di rifugio dell’Orissa grazie all’impegno del Global Council of Indian Christians.

La piccola è stata sfigurata il 26 agosto. Quando è arrivata all’ospedale di Berahampur aveva ustioni al 40% del corpo. Ora è praticamente guarita. “Per me – dice Namrita ad AsiaNews – Natale è un tempo per ringraziare Gesù Bambino che mi ha salvata dal fuoco ed ha salvato la mia faccia, che era sfigurata e ferita. Sono una delle poche fortunate che è sfuggita alla morte, anche se ho dovuto passare un lungo periodo in ospedale. Mi sento molto amata dalla gente dell’India e da tanti nel mondo che hanno visto la mia foto e hanno pregato per me.

“A Kandhamal c’è tanto dolore e sofferenza e non so per quanto tempo le Forze speciali ci proteggeranno. Ma Natale è un tempo di gratitudine. Temo che la mia gente sarà ancora attaccata, ma questa è la nostra vita. Se Dio ha salvato me, potrà salvare anche altri cristiani”.

I radicali indù hanno promesso di organizzare ancora uno sciopero il giorno di Natale se non verranno arrestati i responsabili dell’uccisione di Swami Laxamananda Saraswati, il leader indù, dal cui assassinio ha preso il via il pogrom contro i cristiani lo scorso 23 agosto. Le Chiese temono che i raduni dei radicali indù possano sfociare ancora una volta in violenze incontrollate. “Natale è anche tempo di perdono – afferma Namrata – e noi perdoniamo i radicali indù che ci hanno attaccato, hanno bruciato le nostre case. Erano persone fuori di sé, che non conoscono l’amore di Gesù. Per questo ora voglio studiare con molto impegno perché quando sarò grande voglio raccontare a tutti quanto Gesù ci ama. Questo è il mio futuro. Il mondo ha visto la mia faccia distrutta dal fuoco, ora deve conoscere il mio sorriso pieno di amore e di pace. Voglio dedicare la mia vita a diffondere il Vangelo”.

I genitori di Namrata (Akhaya Kumar , 45 anni e la signora Sudhamani, 38) sono braccianti agricoli a giornata. Le 3 figlie e un figlio sono studenti. Per aiutare i magri introiti della famiglia, la figlia più grande, Trusita (18 anni), lavora anche come domestica nella casa di un indù convertito, il sig. Harihar Das. Quando sono scoppiate le violenze contro i cristiani, Akhaya e Sudhamani sono fuggiti nella foresta; mandando le figli a nascondersi nella casa di Harihar Das.

La notte del 26 agosto, i radicali indù sono entrati nella sua casa e hanno distrutto la porta, distruggendo e bruciando ogni cosa. La famiglia di Harihar Das, Namrata e le sorelle si sono nascoste in una piccola toeletta. Prima di andare via, i fanatici indù hanno lasciato una bomba in un armadio. Tornata la calma, tutti i superstiti sono usciti, ma la piccola Namrata, per curiosità è rimasta nella casa a guardare i danni. La bomba è scoppiata bruciando il volto della piccola, mentre alcune schegge l’hanno ferita alla faccia, alle mani e alla schiena.

Sudhamani continua il racconto: “L’indomani io e mio marito siamo usciti dalla foresta correndo verso la casa di Harihar. Vedendo tutto bruciato abbiamo temuto che tutti fossero periti nelle fiamme. Invece, grazie a Dio, tutti erano salvi. Solo la mia bambina aveva subito delle ustioni. Ma Gesù ha preso cura di lei. L’abbiamo portata all’ospedale di Berhampur ancora incosciente e tutta ferita. Ma dopo 45 giorni di cure, ora sta bene”.

“La mia speranza – confessa ad AsiaNews – è che possiamo avere ancora un futuro a Raikia. Noi non possediamo nulla e potremmo anche emigrare, ma a Sahi Panchayat abbiamo qualche parente, i nostri vicini. Se andiamo via di qui saremo dei vagabondi.

Natale porta speranza. La speranza è la nostra unica ricchezza ora: eravamo poveri e ora è stato distrutto anche quel poco che avevamo…Ma Natale significa che Cristo nasce e ogni nascita significa una nuova vita. Gesù è disceso dal cielo per salvarci da questa miseria, da questo dolore, dall’abbandono e dalla nostro essere senza tetto. Il suo potere ci riempie di speranza, di amore e di perdono”.

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