sabato, aprile 18, 2009
Agenzia Misna - Li chiamavamo Paria, ‘gli intoccabili’, il Mahatma Gandhi li ribattezzò Harijan, ‘Popolo di Dio’, ma loro preferiscono farsi chiamare Dalit ‘gli oppressi’: sono 160 milioni di persone in India - 260 in tutta l’Asia - e vivono una vita marchiata fin dalla nascita dal pregiudizio e dalle violazioni dei loro diritti fondamentali. “Il ‘Chatuvarna’ o sistema delle caste indù risale a tremila anni fa: è il retaggio più antico di una struttura sociale del passato giunta quasi immutata fino ad oggi” spiega con amarezza Anang Kumar, giovane avvocato della Campagna nazionale per i diritti umani dei Dalit (Ncdhr) intervistato dalla MISNA. Alcuni studiosi fanno risalire il sistema delle caste all’invasione dell’India da parte delle popolazioni ariane, originarie dell’Asia centrale; questi nomadi e guerrieri, di pelle più chiara degli autoctoni, esasperarono un già esistente metodo locale di divisione in categorie sociali, elaborando, attraverso la religione indù, una rigida stratificazione che gira intorno ai concetti opposti di ‘purezza’ e ‘impurità’ ed è legata anche alla mansione sociale o professione. La parola casta (varna) significa ‘colore’ e distingue le classi sociali alte di origini ariane, o che così ancora oggi ritengono di essere, dalle popolazioni originarie di pelle più scura. Al vertice dell’ordine gerarchico ci sono i Brahamini (sacerdoti), poi i Kshatrya (guerrieri), i Vaishya (mercanti e artigiani) e, all’ultimo gradino della scala sociale, i Sudra (i servi). I dalit sono i ‘fuori casta’: talmente spregevoli da non essere annoverati neanche tra le caste; in passato come, in gran parte oggi, potevano solo essere impegnati nei mestieri più umili, duri e sporchi. “L’appartenenza a un certo ceto è marchiato dalla storia nei nomi – continua Kumar- i patronimici contengono il riferimento alle caste, e nessuno sfugge al suo retaggio. Malgrado la Costituzione del 1950 abbia messo al bando il concetto di ‘intoccabilità’, i dalit continuano a essere disprezzati, emarginati e i loro diritti umani sistematicamente violati, nelle zone rurali come nelle metropoli”. Recenti fatti di cronaca dimostrano quanto sia vivo nella vita di tutti i giorni ciò che è stato bandito sulla carta: “Una giovane coppia di innamorati composta da una ragazza di una casta superiore e un giovane dalit originaria dello stato del Rajasthan e fuggita per sposarsi è stata rintracciata dalla polizia a Mumbai (ex-Bombai), nel Maharashtra, su sollecitazione dei genitori di lei” racconta Kumar, lui stesso un dalit originario dello stato dell’Andra Pradesh. “I parenti della giovane l’hanno assassinata per preservare la purezza della famiglia e della sua casta, mentre il giovane è fuggito con tutti i suoi parenti e si ignora dove siano. Quel che è anche più sconcertante, la polizia della cittadina dove è accaduto l’omicidio ha dovuto rilasciare i presunti assassini della giovane perché migliaia di appartenenti alla casta superiore hanno minacciato in massa di prendere d’assalto la stazione di polizia e altri gravi disordini”. Oggi, in India, le persone appartenenti alle prime due caste (bramini e guerrieri) sono un ristretta ma influente minoranza, mentre in gran parte la popolazione appartiene alla terza e soprattutto alla quarta classe. Ma oltre il 50% dei braccianti a giornata di tutta l’India sono dalit: 10 ore sotto il sole per 30 rupie al giorno (50 centesimi di euro), 20-25 rupie se sono donne; questa categoria di fatto non gode dei diritti di proprietà, salute e istruzione. Attualmente i dalit rappresentano il 18% della popolazione nazionale. Tutt’oggi i dalit nelle zone rurali non possono bere dagli stessi pozzi e fontane degli altri, in passato gli si chiedeva di camminare cancellando le proprie impronte con una piccola scopa per impedire che un bramino si insozzasse calpestando le loro orme. “Ma noi siamo ottimisti - afferma Kumar - attraverso la lotta per il riconoscimento dei diritti umani vogliamo trasmette un messaggio particolarmente prezioso per la situazione indiana: tutte le persone sono prima di tutto ‘esseri umani’! E come tali sono tutti uguali”. Il giovane avvocato constata però quanto sia difficile il cammino : “Purtroppo la religione indù non ha fatto minimamente autocritica sul sistema della caste, che oggi alcuni partiti politici strumentalizzano anche per i loro fini elettorali” continua Kumar riferendosi al Bharatiya Janata party che rivendica un’equipollenza tra essere indù, caste incluse, ed essere indiani (hindutva). Le caste sono state eliminate solo dal buddismo e dal sikismo, religioni nate separandosi dal ceppo induista - ricorda l’intervistato - e negli ultimi due secoli da alcune correnti riformiste minori dell’induismo. “Purtroppo il problema dell’emarginazione dei dalit - aggiunge Kumar -continua, in forma e intensità diverse, anche nel cristianesimo e nell’islam indiani, perché alle volte il messaggio religioso, seppure egalitario, si scontra con le ancestrali convinzioni ‘sociali’ delle persone. Ultimamente, però, sta aumentando il numero dei sacerdoti dalit, e qualcosa sta cambiando”.


Sono presenti 2 commenti

Desiree Kamilo ha detto...

~aloha, although I do not understood much, I can tell that in western civilization, women are not sheltered and not respected, and have to overwork themselves in offices, be nice housewives, lovers, models, interesting, wise, peaceful, cheerful, different every day to please husbands, children, care of everybody and everything, became both man and woman in one body...aloha dear women!---aloha dear men! Let's TRY to MAKE better world starting from ourselves, aloha and respect sharing, mahalo nui. Desiree.

Anonimo ha detto...

Si dice "Vivi e lascia vivere", lo si dice per una comunità in cui c'è rispetto per il prossimo, lo si dice per un mondo dove importa chi sei TU non il nome che ti porti dietro. Si dice così perchè ci è stato insegnato che siamo tutti uguali, se non s lo fossimo si drebbe: "Vvi calpestando chi è inferiore a te". Ma così non si dice...

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