martedì, luglio 14, 2009
Chi è triste è depresso, chi non dorme è ansioso. Così una cultura che non sopporta il dolore ci ha trasformati tutti in malati. Il professor Carta spiega la nevrosi moderna

Tempi - «Una flessione del tono d’umore, da sempre considerata fisiologica, un’ora di sonno in meno, prima accettata come parte della vita, oggi vengono qualificate come depressione e ansia». Le parole del noto medico e professore di psichiatria Italo Carta leggono tra le righe dei dati che segnalano un aumento esponenziale delle dosi di medicinali consumate in Italia. Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’impiego di farmaci, infatti, negli ultimi dieci anni si è registrata una crescita pari al 60 per cento, con una variazione, nel giro di un solo anno, del 4,9. Dati ancor più allarmanti se si analizza la tipologia delle pillole che si trovano sempre più frequentemente nelle case degli italiani: in cima alla lista quelle che influiscono sul sistema nervoso centrale, tra cui rientrano antidolorifici e antidepressivi, che costituiscono ben il 12,1 per cento del totale dei medicinali acquistati.
Un malcostume dilagante originato da una congerie di cause differenti che si alimentano a vicenda e tra cui Carta non esita a individuare «un interesse economico delle case farmaceutiche». Solo così si spiega infatti l’immissione sul mercato di farmaci generici spacciati come innovativi, ma che per l’80 per cento non sono altro che copie di altri già esistenti. Farmaci “nuovi”, che hanno bisogno di essere pubblicizzati con slogan che mirano a raggiungere e al contempo a creare un target sociale fatto di farmacodipendenti. Nel suo Generation Rx: how prescription drugs are altering american lives, minds, and bodies l’editorialista del Wall Street Journal Greg Critser racconta come nel 2002 gli speaker del congresso del mercato farmaceutico discutessero con estrema naturalezza di come approcciare «un numero cospicuo di pazienti che non sanno ancora di dover essere nostri pazienti» e della necessità di «spingerli a desiderare un’aspettativa di vita superiore». Aneddoti che suggeriscono, prosegue Carta, che «l’abbassamento della soglia dei confini fra sano e malato va anche a vantaggio dei leader del settore, che giustificano così l’aumento delle vendite dei loro prodotti».

Più sciroppo per tutti
Cartine di tornasole di una cultura che tende a medicalizzare ogni aspetto della vita sono la spesa familiare per l’acquisto di pillole e sciroppi, aumentata del 20 per cento in sette anni, ma anche una sorta di “nevrosi da esami diagnostici”, spesso inutili (1 su 4) se non dannosi, che pesano per 4,5 miliardi di euro all’anno sul sistema sanitario nazionale. Un esempio su tutti è la richiesta crescente di esami Psa per la diagnosi precoce del tumore alla prostata, che potrebbe rimanere benigno e le cui cure hanno pochi effetti sulla guarigione, mentre possono provocare danni perenni come l’incontinenza e l’impotenza. Il secondo fattore «meno evidente, ma non per questo di incidenza inferiore, è costituito da una percezione ristretta del benessere, per cui ad ogni minima oscillazione da quello che riteniamo l’equilibrio bisogna ricorre ai farmaci. Così siamo diventati tutti dei malati e infatti la rappresentazione del sé oggi in molti è fragile. Il fatto ha un’ulteriore conseguenza: si cerca un rimedio a questa fragilità nel farmaco come strumento indicato da chi è giudicato essere una fonte autorevole e veritiera, che nel nuovo immaginario collettivo è la figura dello scienziato illuminato».
Ma i problemi si moltiplicano se si pensa che una percezione falsata delle proprie condizioni è capace di cambiarle realmente. Infatti ben 60 mila famiglie somministrano ai figli minorenni psicofarmaci per risolvere, spesso senza che ce ne sia bisogno, comportamenti problematici legati alla crescita. «Tra questi piccoli è possibile che molti si ammalino davvero, perché non avendo imparato ad affrontare le minime difficoltà rimangono dipendenti dalle pillole a vita». Inoltre, l’abuso di medicinali può provocare reazioni avverse, a volte irrimediabili, che nel paese sono raddoppiate rispetto al 2005 raggiungendo la quota di 11.439 casi segnalati in un anno. Ma Carta non si stupisce del numero di effetti collaterali, anzi, aggiunge che «esiste una tendenza ad alimentare la paura di aver paura che poi genera degli scompensi reali». Molte persone si possono ammalare quando si trovano incapaci di affrontare la realtà e di solito succede perché nessuno le ha educate a farlo. «È come se diventasse tossico quello che non lo sarebbe se ci fosse stata una figura in grado di filtrare le scorie. Un tempo quel ruolo era svolto dalla madre che oggi è sempre meno in grado di fungere da “membrana” capace di “filtrare” gli stimoli e le informazioni, metabolizzandoli dentro di lei e ridimensionandoli. E non parlo di un’assenza in termini di tempo investito nella relazione madre-figlio, ma di un cambiamento di qualità di questa relazione». Si rivela quindi controproducente il rifiuto ad affrontare in tempo il dolore e ad accettarlo, «perché la sofferenza è un fattore strutturante della personalità che evitato ci lascia deboli, facendo un favore al potere». Per Carta, infatti, «un individuo da solo è portato a gettarsi nelle braccia di chi reputa più stabile di lui, diventando un soggetto facilmente manipolabile».
Tra le persone più rischio, oltre ai minorenni (uno su dieci fa uso di psicofarmaci), si contano i giovani in generale. Il fenomeno della tendenza“anestetica” riguarda sempre più anche quelli italiani che assumono cocktail di antidolorifici in dosi superiori a quelle che sarebbero necessarie per far passare un normale mal di testa. A questo proposito lo scorso primo luglio Laura Bianconi (Pdl) ha presentato un’interrogazione parlamentare rivolta al presidente Berlusconi e al ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, dopo un’indagine svolta da un laboratorio di Modena, che ha analizzato i capelli di quattrocento ragazzi di tutta Italia. Il dubbio dei genitori che hanno sottoposto al vaglio degli esperti i capelli dei figli è di un abuso di sostanze antidolorifiche per stordirsi. Un sospetto confermato dai risultati delle analisi, che hanno rilevato la presenza di antidolorifici in dosi molto superiori a quelle necessarie a lenire dolori patologici. Daltronde l’ultima relazione della direzione antidroga della polizia italiana parla di una diffusione di miscele di pillole antidolorifiche, spesso acquistate on-line e sostituite alle normali droghe.

Anestesia cercasi
«Il tentativo di liberarci dai condizionamenti per essere autonomi ha infatti portato al suo esatto opposto: sensazione di oppressione e fragilità crescente». A spiegare a Tempi la contraddizione segnalata da Carta, è un altro psichiatra, primario dell’unità operativa di Psichiatria di Magenta, Giorgio Cerati: «L’uomo abbandonando l’ipotesi divina ha cercato una risposta al male in cose limitate e non ne ha trovata una esauriente. Ma credo che se oggi la sofferenza è aumentata è perché ci siamo immaginati che la risposta potesse essere nella negazione totale del male, in un’anestesia generale e nella felicità come assenza di dolore». D’accordo con Carta nel pensare che cercando di eliminare i problemi dalla vita l’uomo si condanni, e nel credere che il dolore abbia una funzione costruttiva e utile, Cerati si spiega rimandando alle parole di Benedetto XVI che nell’enciclica Spe Salvi chiarifica che «proprio là dove gli uomini, nel tentativo di evitare ogni sofferenza, cercano di sottrarsi a tutto ciò che potrebbe significare patimento, là dove vogliono risparmiarsi la fatica e il dolore della verità, scivolano in una vita vuota dove non esiste quasi più il dolore, ma si ha tanto l’oscura sensazione della mancanza di un senso».
Carta dal canto suo mette in guardia da un’altra deriva, opposta alla medicalizzazione ma ugualmente pericolosa, che consiste «nel tentativo di evitare la sofferenza e di negare la malattia». Un pericolo esemplificato dal caso «dalle situazioni in cui si costruisce un delirio per cui non ci si vuole rendere conto, per difendersi dal dolore psichico, di essere malati». E se «le cause da cui può provenire la paura del dolore sono tante», altrettante lavorano per potenziarla, come «la solitudine o la negazione del mistero quale fattore determinante della vita, per cui ciò che eccede le nostre misure ci spaventa». In questo contesto resta centrale il rapporto tra medico e paziente, spesso l’unico ambito in grado di mettere al riparo dalle due derive opposte. A questo proposito è nata in Italia nel 2004 l’associazione “No grazie”, che raccoglie ormai 260 operatori sanitari con l’obiettivo di limitare l’ingerenza delle case farmaceutiche e a evitare abusi nel «rapporto tra operatori sanitari e industria – recita il manifesto costitutivo dell’associazione –, oggetto di crescente attenzione in tutto il mondo, sia per i possibili conflitti di interesse ad esso sottesi che per l’influenza anche inconsapevole che i mezzi di promozione possono avere sul comportamento degli operatori sanitari».

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