giovedì, settembre 24, 2009
Dagli immigrati alle violenze sui cristiani, dalla salvaguardia del creato alla diatriba stato laico-religione: il nostro Fabio Vitucci intervista Franco Miano, presidente nazionale di Azione Cattolica

D) È ormai cronaca quotidiana il respingimento degli immigrati nei pressi delle coste italiane dopo l’approvazione del ddl sicurezza da parte del Governo; nato per dare una risposta alle paure di gran parte del popolo italiano, il provvedimento ha ricevuto anche tantissime critiche. Qual è la sua opinione sugli immigrati in Italia? Quale può essere il giusto compromesso tra accoglienza e sicurezza? Cosa possiamo fare noi cattolici?

R) Tema complesso, difficile anche, quello dell’immigrazione. Intanto partiamo da un concetto chiaro: ero straniero e mi avete accolto. Una frase che non può non interrogarci, e nello stesso tempo farci riflettere. Accoglienza, dunque, come primo aspetto della questione. Lei mette in evidenza l’aspetto della sicurezza attorno al quale il Governo ha voluto centrare l’attenzione, e dare così una risposta, come lei sottolinea, alle attese e alle paure del popolo. Che il tema sicurezza sia un aspetto rilevante credo che nessuno possa negarlo, ma mi permetta una osservazione: quanti sono, in percentuale gli immigrati che delinquono rispetto alla popolazione straniera e quanti gli italiani sul totale dei nostri connazionali? Questo potrebbe essere un primo punto su cui riflettere. Poi, ci dimentichiamo che il nostro è stato un popolo di migranti per moltissimi anni, e raggiungendo una terra straniera l’abbiamo bagnata con il sudore della fronte di tanti nostri fratelli; ma anche con il sangue di crimini compiuti da altri nostri fratelli. Il bene e il male sono presenti nell’uomo, sempre. Sta a noi discernere, compiere quel lavoro attento di non confondere l’onesto dal disonesto. Ben venga allora una maggiore attenzione alla questione sicurezza, ma guai a condannare indiscriminatamente tutto un popolo. Chi commette reati deve essere condannato. Come cattolici possiamo proprio aiutare in questo lavoro attento di discernimento, tenendo presente che molte di queste persone fuggono da situazioni di guerra, di fame, di sottosviluppo. Aiutarli é nostro dovere, così come è nostro diritto chiedere loro di rispettare le nostre leggi.


D) Di contro ci sono invece i tanti cristiani “maltrattati” nel mondo: dalle forti privazioni in Vietnam e Cina, alle discriminazioni in Indonesia e in Pakistan, fino agli omicidi di padre Mariano Arroyo Merino a Cuba e di don Ruvoletto in Amazzonia, solo per citare i casi più recenti e eclatanti. Perché tanta crudeltà verso i cristiani? È davvero impossibile il dialogo e la convivenza tra il cristianesimo e le altre religioni? La chiesa occidentale può fare di più proteggere fedeli e pastori?

R) A ben guardare alla radice di questi “maltrattamenti” c’è lo stesso rifiuto che noi in Occidente riserviamo agli immigrati di colore in alcune realtà della nostra penisola, o alla donna con il velo che lavora a contatto con il pubblico. Casi recenti, come ricorderà. Cerco di spiegarmi per non essere frainteso. È evidente che c’è una differenza profonda dalle diffidenze nel nostro paese o in altre nazioni europee verso lo stranieri rispetto alle violenze perpetrate contro i cristiani in molte latitudini. Ma a ben vedere la radice è comune, ed è l’odio per l’altro, il diverso; la paura dello straniero che viene a occupare il nostro mondo. La strada da percorrere è quella del dialogo, dice bene. Ma il dialogo è fatto da due persone che si mettono in discussione, che accettano di ascoltare l’altro, che sono pronti ad accettare ciò che l’altro può offrire. Io credo che dialogo e convivenza tra cristianesimo e altre religioni siano non solo possibili ma urgenti e necessarie. Si tratta di affinare gli strumenti del dialogo, di trovare strade nuove in cui far camminare la convivenza tra fedi diverse, nel rispetto dell’altro. Come cattolici, cristiani, siamo consapevoli che la verità che ci è stata consegnata da nostro Signore è una perla che deve essere mostrata a tutte le genti. Il cristiano deve essere luce, lievito e sale; ma la luce è quella di una candela che si consuma mentre dà la luce, il lievito fa crescere la pasta mischiandosi, il sale si scioglie per esaltare i sapori. Cosa voglio dire: che siamo strumenti nelle mani del creatore; che non siamo noi i protagonisti della storia. Dobbiamo, allora, continuare a spenderci nel cammino del dialogo tra le religioni, certi che i risultati ci saranno, anche se noi, forse, non saremo chiamati a vederli.


D) A proposito di Chiesa, vorremmo un suo personale giudizio su Benedetto XVI. Stampa e opinione pubblica non perdono occasione di criticare il nostro Papa, che non gode, ancora, dell’autorità e del rispetto di Giovanni Paolo II. Secondo noi invece sta facendo un lavoro eccezionale, con un taglio naturalmente diverso da quello del suo predecessore, ma pieno di sapienza e dottrina (non ultima la Caritas in Veritate).

R) Vede, nel formulare la domanda anche lei si spinge in un confronto tra Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. Credo che l’errore di fondo, se mi consente il termine, è proprio qui, nel continuo guardare Papa Ratzinger con gli stessi occhi con i quali guardavamo Papa Wojtyla. Ogni Pontefice ha il suo modo e il suo carisma e guida la Chiesa con gli strumenti che ritiene più opportuni. Ecco, credo che l’opinione pubblica, i media, siano ancora troppo legati a un grande Papa come Giovanni Paolo II che ha guidato la Chiesa per quasi 27 anni. I suoi gesti, le sue parole sono ancora nel cuore di tutti noi. Ma tutto questo non può portarci a ignorare quanto sta facendo Papa Benedetto per la vita della Chiesa; le sue parole, i suoi gesti non sono meno importanti e impegnativi per noi cristiani. Vorrei solo fare un esempio: la vicenda del discorso pronunciato in Germania a Ratisbona, e quella frase relativa al dialogo tra il dotto arabo e l’imperatore, tra fede e ragione. Proprio da una cattiva lettura di quel testo sono nate proteste e violenze, fino a quando non è stato possibile leggere per intero, e in lingua araba per i popoli di quelle terre, la lezione pronunciata dal Papa. Quel testo ha dato vita a un dialogo tra i teologi islamici e cattolici; da quel discorso può nascere un modo nuovo di costruire il confronto tra il mondo musulmano e quello cristiano.


D) A tal proposito, il dibattito tra stato, laicità e religione è sempre all’ordine del giorno e sta portando a derive laiciste difficilmente accettabili da giovani come noi, ferventi credenti ma inseriti con passione ed entusiasmo nel tessuto sociale. La società occidentale ha preso la sua direzione e non sarà più possibile tornare indietro?

R) Anche qui è una questione di dialogo possibile. C’è il laico e il laicista, la laicità e il laicismo. Partendo da questa considerazione, credo che un dialogo sia da ricercare e da portare avanti. Anche qui il discorso è lo stesso che facevo prima, un dialogo è possibile se l’altro ha la volontà di ascoltare le mie ragioni e di accettare che le sue “verità” possano essere messe in discussione. Allora un dialogo è possibile nella misura in cui ci si metta insieme senza pregiudizi verso l’altro. La società di oggi corre il rischio di interrompere questa corrente di dialogo, questa capacità di riflettere insieme su temi comuni. Forse quello che oggi manca più di ogni altra cosa è proprio la capacità di ascoltare.


D) Il G8 di L’Aquila ha lasciato tanti punti interrogativi e tanti giudizi discordanti: un’occasione persa, un grande passo avanti su diversi temi, un’operazione di facciata… E ora stiamo assistendo all’Assemblea Generale dell’ONU e presto ci sarà il vertice di Copenaghen. Lei cosa ne pensa? In particolare vorremmo un suo giudizio sulle decisioni prese (o non prese) riguardo all’ambiente, visto che la salvaguardia del creato è uno degli aspetti oggi più importanti.

R) Il G8, come tutti gli incontri di questo livello, ha un suo esistere proprio nell’incontro tra capi di Stato e di Governo, più che nelle decisioni da prendere. Certo queste ultime sono importanti e spesso decisive per le sorti di molti paesi, ma credo che l’importante sia proprio il fatto che uomini di nazioni diverse si ritrovino insieme a parlare dei problemi del mondo. L’importante è che non ci si dimentichi che il mondo non è solo l’Occidente, cioè il 20 per cento della popolazione che consuma l’80 per cento delle risorse del pianeta. C’è un mondo – l’80 per cento della popolazione – che non può essere lasciato ai margini. Il nuovo nome della pace è sviluppo, ci ricordava molti anni fa Papa Paolo VI, e Benedetto XVI nella sua recente enciclica Caritas in veritate ci ricorda che nel tempo della globalizzazione è il mondo nella sua totalità che deve superare le difficoltà: la crescita del sud povero è condizione necessaria per una crescita anche del nord ricco. Per noi credenti c’è un imperativo etico che ci chiede di essere vicini al nostro prossimo; di mettere l’altro nelle condizioni di poter avere accesso ai beni e alle risorse del pianeta. Poi l’ambiente. Credo che sia il tema chiave di questo millennio: solo uno sforzo di tutti per migliorare l’ambiente, per dare un futuro al nostro pianeta, può essere la condizione per dare ai nostri figli una terra vivibile e migliore di come l’abbiamo trovata. Parlare di ambiente vuol dire anche ragionare sullo sviluppo sostenibile, sulle risorse naturali, sull’uso indiscriminato di materiali difficilmente biodegradabili, sui rifiuti nocivi, sulle discariche abusive e sull’inquinamento delle falde acquifere. Parlare di ambiente, ancora, vuol dire mettere in discussione la crescita degli armamenti e il loro commercio, e l’utilizzo del nucleare. Ci sono energie alternative che rispettano l’ambiente e possono offrire una seria alternativa all’inquinamento ambientale. Lo evidenzia bene Papa Benedetto nella sua enciclica: noi abbiamo ricevuto in dono il creato dal nostro creatore; offendere il creato è offendere il creatore.


D) Siamo quasi alla fine. Non può mancare una domanda sul “suo” mondo accademico: qual è oggi la situazione dell’università italiana? È ancora possibile fare ricerca in Italia o ormai la fuga dei migliori talenti è un dato incontrovertibile?

R) La situazione dell’Università italiana appare oggi particolarmente delicata per l’incrocio di responsabilità derivanti da un lato dal mondo accademico e dalle sue autoreferenzialità e dall’altro dalla mancanza di lungimiranza della politica. Ciononostante il campo è aperto, lo spazio della ricerca non è completamente chiuso anche se appare sempre più estenuato. Tuttavia c’è bisogno di far crescere la consapevolezza che l’Università e la ricerca sono beni pubblici e non privati.


D) Chiudiamo con una domanda sulla “nostra” (mia e sua) grande associazione: qual è il ruolo nell’Italia di oggi dell’Azione cattolica? Quali le sfide? Quali le missioni?

R) Credo che si possa riassumere tutto con una frase: dire con parole nuove cose antiche. Lo dicevo prima, compito del cristiano è di essere luce, lievito, sale. La luce si mette sopra il moggio, non la si nasconde sotto; il lievito serve per far crescere, il sale per dare sapore. Questo è il ruolo di oggi, e di sempre, dell’Azione Cattolica. Si tratta oggi di dare appunto parole nuove al nostro essere associazione di laici chiamati a collaborare con la gerarchia per la edificazione di una città per l’uomo, capace di essere accogliente, aperta, rispettosa. Il nostro impegno deve essere rivolto a ogni uomo e a tutto l’uomo; deve saper leggere i segni dei tempi e essere capace di contribuire a dare risposte alle attese e speranze dell’uomo di oggi. È un impegno che ci chiama ad essere in prima linea nella difesa dell’ambiente, nella richiesta che la politica sia attenta al bene comune, nella difesa dei valori non negoziabili e nella crescita di una comunità cristiana che sia sempre più luce, lievito e sale.

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