venerdì, novembre 13, 2009
del nostro collaboratore a Londra Renato Zilio

“Un milione, credo, dovrebbero essere! ” mi risponde sicura una anziana signora inglese, che, forse senza contare, ne è impressionata dal numero immenso. Sono croci. Grandi come un palmo di mano, piccole e bianche, sono distese sul verdissimo prato che abbraccia tutt’intorno Westminster abbey. Sembra uno sterminato campo di narcisi a primavera: un incanto! Anche se ognuna porta una macchia rossa in fronte, un papavero: per gli inglesi è il simbolo del sangue dei caduti. Tantissimi hanno deposto la loro croce, scrivendovi sopra il nome del proprio caduto in guerra. “Anche voi avete vostro padre?” mi fa qualcuno al vedere che anch’io ne prendo una dal chiosco accanto con una piccola offerta. Ma per me sarà solo portarmela a casa, sulla scrivania. Mentre, invece, qui migliaia di giovani vite spezzate su tutti i fronti di guerra sono ricordati da questa piccola, preziosa croce.

Nel settore con la scritta: Afganistan oppure Iraq la croce porta anche una minuscola foto. E sono centinaia di volti giovani, sorridenti, ammirati e contemplati da tutto un via-vai di gente... È diventato questo uno spazio sacro, improvvisato all’aperto. C’è chi fotografa, chi legge, chi scrive un messaggio, chi medita... Alla celebrazione di ieri, il Big Ben qui a due passi ha scandito due minuti di silenzio per tutta l’Inghilterra. Come un brivido ha percorso il dorso di tutti i suoi abitanti. Li vedevi fermi, immobili in ogni luogo pubblico. È novembre, il Remembrance day. “Sa, in quei momenti una commozione incredibile mi prende!” mi fa un’emigrante italiana, entrata ormai nello spirito di questo popolo.

La croce è come piantata nel cuore di ognuno. Ricorda la morte e ricorda l’amore e la passione per questa terra. “Goodbye, papà!” è scritto su una croce con un volto giovane massacrato in Iraq; leggendo ti si stringe il cuore. Tra un mare di croci, occhieggiano anche tante stelle di David o delle mezzelune musulmane... Il multiculturale o meglio il multireligioso è di casa nel mondo inglese, ma tutto si ispira al senso sacro della croce. Ognuno ha il diritto di porre il suo simbolo religioso: qui si è tutti sulla stessa barca, in mezzo al mare!

“Anche da noi la croce è sacra!” mi ricorda la comunità portoghese emigrata, che incontro ogni domenica. E mi raccontano come a Pasqua per tradizione ancora oggi ogni parroco passa di casa in casa, trascinando sudato una vecchia croce enorme: una grande benedizione per la gente, ma... un vero supplizio per lui! Come il Cristo. La familiarità del popolo portoghese con la croce era tale che dove arrivavano i colonizzatori era proprio una croce di granito che si piantava: in Marocco, in Mozambico, a Goa, a Macao o in Brasile... Segno di conquista del territorio. Elemento forte per marcare simbolicamente lo spazio.

Anche in Italia la croce nelle scuole sta meritando in questi giorni una valanga di interventi e di emozione. “È un segno piantato nel cuore o indica solo simbolicamente un territorio di conquista?” viene da chiedersi, pensando al suo valore stesso di vulnerabilità estrema di Dio, di un perdersi infinito... Quando l’amore e la morte si toccano e si abbracciano. Perchè, allora, farne un segno di trionfo o di possesso?!
Guardo alla luce del tramonto questa distesa immensa di croci bianche sul verde di un prato nel cuore di Londra, dove razze e religioni differenti coabitano insieme. È come un’altra luminosità che, ora, si posa: la speranza. Sì, di un domani più tollerante e più fraterno.

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