sabato, dicembre 12, 2009
del nostro corrispondente a Londra Renato Zilio

Per me il Natale si riassume solo così: fare posto. Solo facendo posto dentro di noi - nella testa, nel cuore, nella vita - si può celebrare veramente questo giorno. Sono un missionario e da tanti anni emigrante. Insieme ai nostri emigranti che accompagno pastoralmente camminiamo tra tanti altri di differente nazionalità, cultura o religione. Ognuno è una storia diversa di accoglienza e di rifiuto.
Mi domando, a volte, se è possibile comprendere oggi il Natale senza farsi in qualche modo migrante... E questa domanda si fa gigantesca di fronte a un Dio nato in emigrazione, trasformatosi poco dopo in rifugiato, in un fuggiasco, in uno dei perseguitati della terra. Colui a cui tocca far posto alla paura, allo sradicamento, al rifiuto degli altri, come un marinaio in pieno tempesta senza punti di riferimento o di stabilità.

Il migrante è colui che impara a far posto all’altro. Aspetto difficile, esistenziale che come una spina al fianco sempre ci accompagna. Il nostro vivere non è solo un camminare, ma è un abbandonare e un abbandonarsi. Un perdersi e un sentirsi perduti.
Così, cominciamo dentro di noi a fare posto ad un altro mondo... E pur portando nell’anima la nostra storia, riceviamo in pieno volto quasi come un vento minaccioso il mondo costruito da altri, i loro valori, le loro esigenze, le loro leggi. La nostra umanità, a volte, è l’ultima voce che si ascolta.
Ma far posto all’altro, a colui che è differente, al nuovo, rappresenta, in fondo, la nostra stessa grandezza. È un andare al di là di noi stessi. Un invito continuo a superarsi, a farsi accoglienti, ad aprire il nostro mondo e il nostro io. Non tanto a rinchiudersi dentro come in una prigione.
Così Maria un giorno, superando le proprie ansie, fece posto nello spirito e nel corpo a Dio stesso. Mentre Lui faceva posto all’umanità: se ne rivestì come di un vecchio vestito di famiglia di cui si va fieri, dandone una straordinaria dignità. Una grotta di animali - il punto di incontro più importante della terra - fece posto una notte ad una famiglia di Nazareth, a una stella, a dei pastori e a dei Re magi. E questi tra i loro mille interessi fecero posto a uno straniero appena nato. Così Simeone sollevò con l’entusiasmo di un vecchio profeta un bambino da benedire, il senso dell’altro e della novità di Dio. La morte in lui fece posto alla vita, prendendola gioiosamente per mano.
Far posto è sempre un morire alle proprie certezze, alla sicurezza, al protagonismo, al proprio passato. Perché un avvenire nuovo, originale, costruito a più mani e benedetto da Dio possa nascere... spesso attorno a uno straniero, diventato paradossalmente maestro di umanità. Come quel Natale in cui il figlio di Myriam prese il nome di Emmanuele, “Dio con noi”. E divenne il pezzo più bello della nostra storia di migranti.

Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa