lunedì, febbraio 15, 2010
del nostro redattore Carlo Mafera

Chi scrive è nato a Milazzo, un paese in provincia di Messina che si estende lungo un bellissimo promontorio di circa sette chilometri. La sua bellezza è tanto particolare che i Greci antichi dell’ottavo secolo prima di Cristo la fondarono e la chiamarono il “Chersoneso d’oro” cioè la penisola d’oro. Davanti ad essa si possono ammirare le sette isole Eolie, proclamate recentemente dall’Unesco, patrimonio dell’umanità. Qui nasce nel 1887 tra il profumo delle zagare che si spande nella campagna di Milazzo, il grande Luigi Rizzo, anzi l’ammiraglio Luigi Rizzo di cui mi onoro di essere compaesano. E’ un eroe di altri tempi forse dimenticato perché ebbe il torto di rappresentare un regime sia pure incolpevolmente e soprattutto la “sfortuna” di non morire sul campo di battaglia (come avrebbe preferito) ma di un tumore probabilmente contratto per il dispiacere di subire un ingiusto processo di epurazione con l’accusa risultata del tutto infondata di avere lucrato dei profitti dal vecchio regime fascista. L’Italia è un paese curioso che lapida i suoi eroi, i suoi santi e i suoi scienziati. Non a caso Gesù Cristo diceva giustamente “Nemo propheta in patria”.

La sua azione eroica (l’affondamento della corazzata Santo Stefano il 10 giugno 1918) è da molti conosciuta ma da pochi riconosciuta come un’azione i cui meriti vanno attribuiti solo al grande coraggio di Luigi Rizzo. Infatti nella splendida ricostruzione della biografia dell’eroe a cura di Bartolo Cannistrà, lo stesso afferma che “nello stesso anno l’ammiraglio Camillo Manfroni, nella sua ricostruzione delle vicende belliche sul mare, pur sottolineando anch’egli il ruolo di Rizzo e della Marina nell’alto Adriatico nei giorni seguiti alla sconfitta di Caporetto, si mostra però restio a riconoscere l’eccezionale contributo di Rizzo alla vittoria sul mare. Manfroni, nell'appendice in cui riporta l'elenco delle unità perdute dall'Austria, non può che indicare come uniche navi da battaglia affondate quelle silurate da Luigi Rizzo (e da Rossetti e Paolucci): soli risultati significativi della nostra guerra sul mare. Eppure, delle 390 pagine del suo libro, trova il modo di dedicarne solo cinque all'affondamento della Wien e altrettante a quello della Szent Istvan (molto meno, perfino, di quelle in cui si racconta, con abbondanti citazioni di Ciano e D’Annunzio, la inoffensiva cosiddetta Beffa di Buccari). Per di più, le due imprese sono inserite nell'ambito di una rappresentazione che privilegia l'iniziativa degli alti comandi più che quella di coloro che veramente prepararono e realizzarono le azioni: per esempio, sull’affondamento della Wien si riporta la relazione dell’ammiraglio Cito di Filomarino, che presenta come “lungamente studiata e diretta dal comandante Pignatti con amore ed entusiasmo” un’azione la cui preparazione in realtà era stata per mesi gestita personalmente da Luigi Rizzo. Illuminante anche la gerarchia dei meriti indicata nella conclusione: “Bellissima impresa che onora chi la concepì e la diresse e chi la eseguì”. E così il prof. Augusto Benemeglio che ha raccontato la vicenda del “Corsaro di Milazzo” ha sottolineato l’ingiusta campagna denigratoria successiva al processo beffa del 1949 già citato e così afferma “Il vecchio eroe finì per essere dimenticato e dovette assistere al trionfo dei parolai pavidi, di coloro che salivano sui carri dei vincitori e sbandieravano il tricolore senza mai aver imbracciato un fucile, né mosso un dito per la Patria; dovette assistere al trionfo dei vigliacchi, dei parassiti, degli invidiosi, degli sciacalli che da sempre tramano nell'ombra, dei vampiri che succhiano il sangue dei nobili e dei coraggiosi lui, che era un eroe purissimo, e di questo soffrì moltissimo, fino al punto da ammalarsi seriamente.” Ma veniamo agli episodi centrali della prima guerra mondiale dal nostro punto di vista di italiani e cioè l’affondamento della corazzata austriaca Wien e in seguito quello dell’altra nave ammiraglia, la “Santo Stefano” cioè i due episodi che cambiano il corso della guerra volgendolo a favore dell’Italia che era stata umiliata a Caporetto e che vendicano la sconfitta navale di Lissa durante la terza guerra di indipendenza. Così racconta Cannistrà : “la notte del 10 dicembre 1917, l’eclatante affondamento della corazzata Wien nel munitissimo rifugio di Trieste fa entrare nel mito la figura di Rizzo. Non è solo il giornale della sua città ad esaltarlo con toni epici, ma anche il più importante e popolare settimanale nazionale,(La Domenica del Corriere)] che gli dedica la copertina di Achille Beltrame commentata da una didascalia la quale, con la sua stessa imprecisione (si parla di “audacissima incursione di navi italiane nel golfo di Trieste”), rivela quanto sia ancora difficile accettare come verosimile l’idea che un piccolo guscio di legno (MAS) possa affondare un colosso d’acciaio”(Ricorda tanto l’episodio di Davide conto Golia – afferma lo scrivente) . Nel 1917 infatti il nostro esercito versa in una situazione disastrosa anche per la pressione a cui viene sottoposto per il cannoneggiamento che le corazzate austriache fanno dal porto di Trieste verso le nostre truppe schierate sull’Isonzo e sul Piave, a supporto delle truppe imperiali. Occorre fare qualcosa per contrastare questa “spina nel fianco” del nostro esercito e dare coraggio alla nostra azione militare e soprattutto allo stato d’animo della nostra nazione che riteneva la guerra ormai perduta. E a tal proposito anche il prof. Augusto Benemeglio afferma nel suo racconto su SalentoNews “In questo momento assai delicato per le sorti della guerra, l'Ammiraglio Thaon di Revel, Capo di Stato Maggiore della Marina, s'affida al "corsaro di Milazzo". Sa che Rizzo è l'unico che può riuscire nell'impresa. E Rizzo non lo delude; penetra nel porto di Trieste e riesce ad affondare la "Wien", danneggiando, inoltre, seriamente la "Budapest". In seguito Luigi Rizzo, dopo aver sventato un attentato che gli austriaci avevano perpetrato nei suoi confronti nel porto di Ancona e sventato grazie al sacrificio umano di un finanziere, prepara l’affondamento della “Szent Istvan”. Il comandante Rizzo e i suoi uomini riuscirono ad affondare la corazzata austriaca con il famoso, mitico e piccolo Mas 15 (che è conservato al Museo Storico del Risorgimento a Piazza Venezia al Vittoriano e che il sottoscritto ha avuto la gioia di vedere). Fu una delle azioni guerresche e marinare più ardimentose che siano mai state realizzate durante il corso della prima guerra mondiale e forse solo quelle del pilota Francesco Baracca sono ad essa paragonabili . Il coraggio dimostrato nel saper eludere la sorveglianza delle numerose unità navali nemiche presenti nel porto di Trieste venne premiato dal successo dell’operazione. Fu un’azione leggendaria a cui persino il comandante della flotta inglese, David Beatty, tributò le più rispettose felicitazioni all’ammiraglio Thaon di Ravel, comandante della Marina Italiana. Ma soprattutto ebbe il merito di ribaltare la situazione della guerra a nostro favore e in particolare di stabilire la nostra superiorità navale nel mediterraneo dove fino allora gli austriaci avevano avuto la supremazia. Nonostante ciò, come si diceva l’ammiraglio Luigi Rizzo morì in silenzio nell’inizio dell’estate del 1951 e qualche mese prima lamentandosi con il suo amico Raffaele Paolucci, suo chirurgo e compagno d’armi diceva “meglio morire una volta per tutte che questo lento e penoso morire di ogni giorno. Qualcuno mi rimprovera di non essere morto sul campo di battaglia, ma è proprio lì che io avrei preferito morire, sul mio MAS, magari subito dopo l'affondamento della Santo Stefano, piuttosto che assistere a ciò che oggi vedo in tutte le piazze italiane…" E di rimando Paolucci gli rispose “Ma tu non morirai mai perché tu sei la storia della Marina Militare di questi ultimi trent'anni e la storia non si può cancellare con un tratto di gomma."

È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

Sono una discedente dell'eroico Luigi Rizzo e vado fiera di questo. sono felice che molti come lei , lo ricordino per le sue gesta. Avrei voluto tanto conoscerlo credo che ci assomigliamo molto nel carattere.

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