domenica, marzo 21, 2010
del nostro collaboratore Renato Zilio

Pasqua fa sempre pensare a quella stagione splendida che si apre alla luminosità della primavera. È il respiro nuovo, fresco della natura dopo la lunga tristezza dell’inverno. Anche in una nostra cartolina di augurio vi si ritrova sempre un paesaggio verde, un mandorlo in fiore e campane a festa. Per un cristiano, però, per un discepolo del Signore, Pasqua è veramente molto di più. È qualcosa di tragico e di grande, allo stesso tempo. È credere che il Maestro, assassinato atrocemente, è vivo. Vive ancora nel cuore e nei gesti dei discepoli con la forza dello Spirito di Dio.

Dopo una valanga di odio che ha ucciso e sepolto un uomo venuto in nome di Dio, esiste ancora paradossalmente uno spazio di vita. Sì, perché, spogliato di tutto - del vestito, della dignità e della vita stessa – non si è riusciti a strappargli l’essenziale: l’amore. Quel coraggio inaudito di perdonare nell’ultimo istante. “Esistere è resistere” ripeteva qualcuno. Nei momenti di oscurità è straordinario saper conservare i valori in cui si crede.
In fondo, se in un contesto di morte, di disillusione o di sfiducia il discepolo si fa segno di speranza, allora è simile al Maestro. Si fa testimone di coraggio, di fiducia e di lotta, quando tutto sembra perduto. “Che fare nella confusione e nell’inquietudine? - si chiedeva uno scrittore francese - Semplice: dire ciò in cui si crede.”
È il senso vero e contraddittorio della Pasqua. Un germoglio quasi invisibile, esposto ai venti freddi dell’odio, della chiusura o della paura può far rinascere il mondo. Paradossalmente. Sarà l’essere umano che sa restare in piedi come un essere di frontiera, di apertura, di grandezza d’animo e di comunione. I tempi di oggi lo reclamano con tutte le loro forze: segno vero di tempi nuovi.
Allora, sará Pasqua.

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