mercoledì, giugno 23, 2010
del nostro corrispondente da Londra Renato Zilio

“È un funerale di stato!” si precipita subito a dirmi una donna, appena arrivo. Qui in Inghilterra la cosa significa proprio il contrario, pur mantenendo il suo senso letterale: l’incinerazione sarà a spese dello stato. Ma lo è per dei poveri cristi, senza risorse, come questi. Anche per il servizio religioso nessuno se ne prenderà carico, a meno che un responsabile religioso abbia un po’ di cuore... La moglie è deceduta l’anno scorso, il giovane uomo, alcolizzato, quest’anno, e qui di fronte il resto di una famiglia di emigranti portoghesi: un adolescente e una ragazza dallo sguardo pietrificato. Un’immensa pietas, allora, ti prende guardando attorno i pochi amici di famiglia... Sì, siamo in emigrazione.

Non è un funerale con i cavalli neri, come quello dell’altro giorno per un emigrato italiano. Questi aveva preferito qualcosa di old style. Il defunto, infatti, lo aveva sempre detto e desiderato, “un funerale con i cavalli,” creando non poche difficoltà per una strada stretta e trafficata come la nostra. Qui la tradizione ancora impera e vecchie abitudini resistono, senza che nessuno se ne preoccupi tanto. Vecchio e nuovo coesistono a Londra, come la multiculturalità dai mille volti differenti. Sì, si tratta di pacifica coabitazione che lascia ad ognuno la volontà di essere se stesso. Con la sua ambizione. Straordinaria metropoli inglese!

E così, prima del momento di preghiera al cimitero osservo il prato verde attorno all’antica cappella gotica. Una piccola croce di cenere è disegnata sull’erba con attorno deposte con grande cura, a raggiera, una dozzina di lunghe rose appassite. Vicino, poi, scorgo subito un’altra croce di cenere. Sono esseri umani. Destinati a scomparire alla prima pioggia...

Scomparire nel nulla. Come qui l’essenzialità di un cimitero musulmano, dove si esalta unicamente la grandezza di Dio. Così, un pezzo di coccio senza nome indica sotto, in profondità, la presenza di un credente. O solo una ciotola d’acqua sulla tomba di terra, perchè gli uccelli possano venirvi a cantare e ricordare la vita dell’aldilà. Semplicità evangelica, diresti, che corona la fine di un’esistenza. Su ogni cosa, infatti, sovrasta unicamente l’onnipotenza di Dio.

Tutto dice la provvisorietà di un’esistenza, il senso migrante del vivere che spesso dimentichiamo. L’importanza di camminare con altri compagni in umanità, differenti da noi, con cui condividere la gioia e la fatica del vivere. Altra lezione fondamentale di un cristianesimo rivisitato. E ritorna in mente il senso delle ultime parole del Cristo: “Tutto è compiuto!”. Non tanto finito, quanto piuttosto vissuto, realizzato. E si fa stupenda convinzione per una giovane missionaria, suor Leonella, martire in terra d’Africa:“Abbiamo una sola vita e dobbiamo viverla intensamente. Alla fine non resterà nulla. Se non l’amore.”

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