giovedì, luglio 15, 2010
del nostro corrispondente a Londra Renato Zilio

I turisti vanno e vengono con gli occhi sospesi alle stupende, gotiche nervature delle navate. Girano, si guardano attorno, scambiano, amano fotografare... Ogni tanto, però, scende dal pulpito l’invito a sostare qualche istante, immobili, là dove stanno: è il momento della preghiera. Un prete o un pastore protestante accompagnano dall’alto la voce dei presenti con un salmo e un Padre nostro insieme. Ciò richiama il senso di un luogo dove la comunità cristiana si riunisce a pregare. Vi verrà allora da pensare alle nostre città d’arte, dove a volte confusione, foto e scompiglio di turisti rendono un luogo di culto irriconoscibile agli occhi dei nostri antenati e della loro fede. Al pomeriggio, nell’animato quartiere di Soho potete rifugiarvi qualche istante nell’antica chiesa di St. Patrick. Entrando, nella penombra vi accoglie una serie infinita di banchi ben allineati, quasi composti in preghiera. Sull’altare in fondo, infatti, un illuminatissimo ostensorio d’oro e un bouquet di fiori vi guardano. Non c’è anima vivente. Solo assorta in un angolo una statua in gesso di Santa Teresa di Lisieux e altre vecchie statue di santi. Sembra, tuttavia, di essere in un’oasi di pace straordinaria in un quartiere pieno di vita e di via-vai. E pare che Dio stesso vi aspetti qui da sempre.

In una chiesa vicina, frequentata da portoghesi, una Madonna di Fatima esulta segretamente della miriade di ceri lasciati accesi da chi passa. Accanto una grande scritta: Lord, a light for you to enlighten me in my difficulties and decisions. Per illuminarmi nelle mie difficoltà e decisioni. Qui in terra inglese si vuole sempre che il messaggio sia chiaro e trasmetta qualcosa. Anche alla televisione. Perfino scritto per terra, quando si attraversano le strade: guardare a destra o guardare a sinistra. La parola come sempre illumina un gesto, altrimenti questo si fa automatico e banale. E così, accendere un cero qui si illumina di senso.

Passate accanto ad un’altra vecchia chiesa in pietra grigia e sentite cantare. Se entrate, un folto pubblico nero vi accoglie sorridente... e non vi pare vero di essere attesi! Così, sorpresi, posate le borse della spesa e dopo qualche istante di estasi ve ne potete andare. Anche un estraneo qui trova il suo posto. O un momento originale di stare insieme: sorpresa sempre gradevole per ambo le parti.

È questa una società abituata ad ammettere l’altro e la sua espressione, oppure un altro credo religioso, senza battere ciglio. Sacro e profano, poi, si mescolano nella tolleranza più completa. In un’altra chiesa, così, appena entrati vi pare di scorgere sull’ultimo banco un barbone completamente disteso con accanto la sua birra. Ed allora può succedervi di vederlo perfino durante la messa - come due settimane fa, alzando il calice alla consacrazione - anche lui sollevare in alto la sua lattina, automaticamente... Anche in questo caso, come sempre, il Signore è misericordia e perdono!
Rientrando a casa, sul marciapiedi potrete incrociare attorno a un leggio improvvisato un gruppo pentecostale dei Caraibi per un breve gospel, dal ritmo e suoni inconfondibili... Sì, esibirsi in pubblico con belle tuniche colorate fa parte del loro essere. E comprendi, in fondo, che questo è lo spirito di una città che tutto ammette e rende possibile.
Mille volti di Dio, mille modi per incontrarlo, mille volti di uomini che lo cercano nella preghiera. Ma forse la preghiera più bella e più seria è quella con gli italiani emigrati della nostra parrocchia. È al momento del credo, del loro impegno di fede. Chiedo loro con calma, lentamente: “Rinunci a fare il male, a vivere di violenza, di ambizione, di invidia o di gelosia...? Rinunci allo spirito del male, di divisione, di esclusione e di chiusura all’altro, al differente?” E loro, ogni volta compatti, a rispondermi: “Siiiì, rinuncio!” Rinunciarvi, quando la società di oggi al contrario vi invita continuamente a farlo... so di chiedere loro un miracolo quotidiano. Ma ciò mi dice anche quanto ogni migrante, in fondo, desidera un mondo più umano e fraterno. Una vita degna, da vivere insieme. Ed allora mi chiedo: “Quanti mai sanno leggere il cuore di un migrante?”.

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