domenica, novembre 28, 2010
Del nostro corrispondente a Londra Renato Zilio

È un dolce volto di ragazza filippina nella nostra chiesa ad accostare il bouquet di cinque candele d’avvento. Con un sorriso impercettibile lentamente ne accende una, la prima. Gesto semplice e straordinario di una giovane migrante, sotto lo sguardo e nel silenzio di tutta un’assemblea. Tre candele di colore violaceo, una rosa e una bianca che illuminerà la notte di Natale, sono il simbolo che si ritrova in tutte le chiese inglesi. In fondo, non sono candele. Ma passi di un cammino. Sì, questo gesto per tutti suona come un invito. Anzi, un ordine interiore: partire. L’avvento, infatti, non è attendere, restare, sedersi o sperare. È incamminarsi. È ritrovare insieme la fede di Abramo: uscire dalla propria terra. Incamminarsi come i pastori, come i re magi o milioni di uomini e di donne che escono dal loro mondo, i migranti, tutti animati dalla speranza.

L’avvento è veramente uscire dalla nostra terra. Dalla cerchia dei nostri. Superare lo statu-quo, l’immobilismo, l’installarsi o il ritmo stanco dell’abitudine... Perchè da sempre l’incontro con Dio è nella novità, nella sorpresa o nell’incontro con un’umanità differente. Quella dell’altro, che invita continuamente ad uscire da sè stessi. E a riscoprire, in fondo, una fede itinerante. L’abbiamo celebrata anche oggi, domenica di avvento, con tre comunità di migranti riunite insieme: una comunità italiana, una portoghese dell’isola di Madeira e una dall’arcipelago filippino.

Tra i canti e le letture alternati nelle lingue e nei ritmi differenti, il tagalog emergeva nella suggestione originale del suo ritmo e del suo mistero. Al termine della celebrazione erano i cibi, i sapori e i colori differenti che incuriosivano e affascinavano ognuno. Ma subito dopo ecco scoppiare le danze di ogni Paese con gruppi dai differenti costumi. Ondulanti e delicatissime le danze dall’Oceano indiano, forti e ritmate quelle portoghesi, nostalgiche e melodiche quelle italiane. Ognuno con il suo genio, le sue qualità e il suo charme.

Soprendeva vedere i filippini precipitarsi con i flash sulle danze portoghesi o gli italiani occhieggiare le ragazze e le espressioni belle di un altro mare. José Manuel e la sua equipe facevano, poi, entrare nelle loro danze tutti gli altri... Straordinaria esperienza di alterità: mettersi nella cultura, nei ritmi e nei gesti dell’altro.

E ciò ricordava come un giorno Dio stesso entrò nella danza degli uomini, per far loro capire che la differenza e la novità sono spesso i volti del suo essere, i due modi di manifestarsi dell’alterità. Insegnare, così, agli uomini che la differenza dell’altro – riconosciuta ed apprezzata – si fa pietra miliare per costruire la comunione. Non la omogeneità. E così vivere lo stupore, che dovrebbe nascere davanti al nuovo e al diverso, come un invito sorprendente ad uscire dalla propria terra.

Avvento: il nostro incamminarsi non sarà, allora, verso un presepio. Ma verso un Dio che mette il suo piede nella storia dell’uomo. Oggi stesso Lui entra in mezzo a noi, con il passo della nostra danza. E prende volentieri, come allora, le sembianze di uno straniero.


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