lunedì, maggio 31, 2010

L'ineffabile Realtà della Santa Trinità

«Il dramma dell’uomo è qui: per amare, egli deve essere libero; per amore, egli deve farsi coinvolgere nella “storia” di Dio, nel suo amore abissale, nella sua vita trinitaria. E qui vi è la possibilità del mancato coinvolgimento nell’amore divino; possibilità divenuta reale dall’inizio stesso della storia dell’uomo, e continuamente attualizzata nelle storie dei singoli uomini».

di Padre Piotr Anzulewicz, OFMConv

Con questa consapevolezza avviamoci alla nuova settimana: l'augurio è di essere miti e fedeli alla divina proposta d'amore.
La liturgia della domenica dopo la Pentecoste ci pone di fronte a Colui che è assolutamente altro, oltre, indicibile, insondabile, ineffabile. Il Dio di Gesù è sempre una Realtà che sfugge ad ogni possibile cattura, disorienta e sorprende. Su questa Realtà: la Santa Trinità, l’Uno dei Tre, l’Amore tripersonale in reciprocità, siamo capaci solo di emettere balbettii. Non a caso Gesù stesso ha lasciato che fosse lo Spirito Santo a pronunciare l’ultima parola: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,12-13). Infatti, lo Spirito, l’azione del Padre e del Figlio, ci introduce nel Mistero che si apre, si rivela e si dona, cerca la sua creatura, la segue e con essa riallaccia una relazione d’amore. «Entrambi si desiderano e si chiamano, si smarriscono e si cercano, si ritrovano e si abbracciano, perché si amano di un amore che non passerà: “Ti amo di un amore eterno”» (A. Chouraqui). Gesù, l’Amore incarnato di Dio, riassume in sé questa reciproca ricerca d’amore e la conduce al compimento, introducendola là dove da sempre ha la sua origine, il suo grembo e la sua patria: l’Amore eterno, vertiginoso, abissale.

Così la fede cristiana viene a scrutare l’eterna sorgività dell’Amore nella figura del Padre, il principio senza principio, che nell’amore dà inizio a tutto e non si ferma neanche di fronte ai smarrimenti, alle perdite e alle crudeltà degli uomini.

E accanto al Padre, l’eterno Amante, la fede narra del Figlio, l’eternamente Amato, la pura accoglienza dell’Amore, che ci insegna come divino non sia soltanto il dare, ma anche il ricevere, e con la sua vita nella carne - autentica “esistenza accolta” e vissuta nell’obbedienza filiale - ci rende capaci di dire il sì della fede all’iniziativa dell'amore di Dio.

Con l’Amante e con l’Amato la fede contempla la figura dello Spirito, che unisce l’uno e l’altro nel vincolo dell’Amore eterno e insieme li apre al generoso esodo della creazione e della salvezza. Quel ‘Tra-personale’, lo Spirito, viene a liberare l’amore e a renderlo sempre nuovo e irradiante.

È il mistero dell’amore divino nel quale e dal quale siamo ospitati, quasi ‘posseduti’, ‘invasi’ ed ‘estasiati’, ma nel rispetto della nostra libertà. La Bibbia è il racconto di questa Presenza misteriosa, irresistibile e impotente. È irresistibile, perché nulla può resistere alla sua potenza e alla sua forza, come ricorda il profeta Isaia: «Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare/e ha calcolato l’estensione dei cieli con il palmo?/Chi ha misurato con il moggio la polvere della terra,/ha pesato con la stadera le montagne/e i colli con la bilancia?» (Is 40,12). Nello stesso tempo è impotente, perché Dio, alla cui onnipotenza non resistono né le acque del mare né l’estensione dei cieli né le montagne della terra, si arresta di fronte alla libertà dell’uomo e consegna ad essa il potere inaudito di decidersi per la vita o per la morte: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore Dio tuo, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva» (Dt 30,15-16).

Il dramma dell’uomo è qui: per amare, egli deve essere libero; per amore, egli deve farsi coinvolgere nella “storia” di Dio, nel suo amore abissale, nella sua vita trinitaria. E qui vi è la possibilità del mancato coinvolgimento nell’amore divino; possibilità divenuta reale dall’inizio stesso della storia dell’uomo, e continuamente attualizzata nelle storie dei singoli uomini. Quanto male sofferto dall’uomo è frutto dell’uomo stesso, delle sue istituzioni, dell’acquiescenza colpevole di singoli e di popoli al male e alla sofferenza degli altri! «Quando si discosta dal disegno di Dio – scrisse Giovanni Paolo II nel suo messaggio per la giornata mondiale della pace 1990 –, l’uomo provoca un disordine che inevitabilmente si ripercuote sul resto del creato. Se l’uomo non è in pace con Dio, la terra stessa non è in pace: “Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue, insieme con gli animali della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare periranno” (Os 4,3)».

Giovedì, insieme a p. Ilario, al ministro provinciale di Danzica Adam e al segretario provinciale Piotr, visitavo le meraviglie della costa ionica e tirrenica: panorami da mozzare il fiato per la loro bellezza. A Palmi si vedeva lo Stretto di Messina e le isole Eolie, immerse nel mare azzurro. E il pensiero inevitabilmente si rattristava nel constatare come tanta bellezza venga sovente sfregiata dagli esseri umani. È come un tragico monito del cielo quanto recentemente si è verificato nel Golfo del Messico, con la fuoriuscita dal fondo del mare a 1500 metri di immani quantità di petrolio, a causa della rottura della conduttura che lo porta in superficie. Un disastro che avrà conseguenze terribili e inimmaginabili. Che ci sconforta è l'incuria criminale del territorio, diffusa e praticata nel mondo, anche in Italia, dove luoghi incantevoli, soprattutto del Sud, vengono trasformati in discariche a cielo aperto, per materiali e liquidi di scarto ad alto potenziale inquinante, così alto da impedire perfino la crescita della vegetazione, come alcuni filmati ci hanno mostrato. La frase di Luigi XV: «Dopo di me, il diluvio», è il motto dell’uomo postmoderno. Sembra ormai non esserci più un futuro del quale prendersi cura e non esiste più l’idea che ci siano dei limiti che non si possano varcare. Per duemila anni l’uomo ha immaginato l’apocalisse come un castigo ineluttabile, che, un giorno, sarebbe piovuto dal cielo. Ora improvvisamente cambiano le carte in tavola. L’apocalisse è già tra noi e non è caduta dal cielo, ma è una semplice conseguenza della nostra sfrenata libertà.

«Abbiamo agito convinti della nostra onnipotenza e, all’improvviso, ci rendiamo conto che non possiamo tutto. Abbiamo saccheggiato la terra, scordando il profondo e misterioso rapporto di interdipendenza che ad essa ci lega. E ora la terra ci ricorda che non quello del predatore era il nostro ruolo, ma quello del custode. Avremmo dovuto custodire la terra, le acque, gli animali, le piante, ma per farlo avremmo dovuto avere in noi l’idea del sacro. E invece abbiamo voluto solo possedere (…), fino all’inverosimile, per riempire l’enorme vuoto che si è creato al nostro interno. E più possediamo, più il vuoto si dilata, ci risucchia, ci spinge disperatamente a possedere ancora. Ci riempiamo di oggetti per tacitare la finitezza del nostro essere – leggiamo nell’articolo L’océano avvelenato e l’apocalisse della nostra fragilità della grande e sensibile scrittrice triestina Susanna Tamaro, pubblicato il 27 maggio sul Corriere della Sera – e inseguiamo il potere, perché abbiamo il terrore dell’amore. Protetti da questa cecità e dalle sirene che ci ripetono costantemente di non preoccuparci, perché quello che non è ancora sotto controllo presto lo sarà, non ci siamo accorti che la violenza, anziché essere una forza che si esaurisce nel suo scopo, con tempi di maturazione diversi, ne genera dell'altra, sempre più grande. La terra ci restituisce semplicemente il male che le abbiamo fatto. Si stanno aprendo davanti a noi tempi di cambiamenti eccezionali, tempi di incertezza, di instabilità, di fenomeni ai quali non eravamo preparati – gli tsunami, i terremoti, le eruzioni, i tornadi, le alluvioni – e ci ricordano che per le forze della terra noi siamo, nonostante tutta la nostra tecnologia, quello che siamo sempre stati: delle minuscole formiche», create tuttavia a immagine del Dio triuno.

Tutti questi segnali della terra, uniti ai segni della società dell’uomo – la crisi economica globale, la scomparsa dei valori, le carestie, le guerre fratricide e la sempre presente minaccia atomica – ci introducono in un’epoca per noi nuova, quella dell’apocalisse (apocalyptein – svelare).

Gli accadimenti di questi giorni e di questi anni ci stanno svelando la nostra impotenza, la nostra fragilità, il nostro modo errato di porci nei confronti del creato, degli altri esseri umani e del mistero. Così il tempo apocalittico può diventare un tempo straordinariamente fecondo, in cui la catastrofe produce un risveglio delle coscienze e una nuova consapevolezza sul senso dell’esistere. Quanta distruzione, quanta negatività in un mondo in cui la tecnica non cammina accanto alla sapienza! Quanta disperazione, quanta angoscia, quanto vuoto tra gli uomini non più in grado di contemplare la loro finitezza e darle un senso! L’apocalisse viene forse proprio per togliere un velo dai nostri occhi e donarci un nuovo sguardo, capace di osservare la realtà com’è e non come dovrebbe essere secondo i nostri sogni utopistici. La realtà è qui davanti ai noi e ci parla costantemente, solo che non sappiamo più ascoltarla. Se avessimo saputo ascoltarla, avremmo compreso da tempo che ci sono sempre due vie che si aprono davanti a noi: la via del potere e la via dell’amore.

Che Dio Amore venga accolto nella nostra esperienza di vita, con tutta la forza trasformante che egli ha! Egli ci ama immensamente. Il suo amore avvolge i cristiani, la Chiesa, il mondo, il cosmo intero…

O insondabile Mistero dell'Amore divino, illumina per un attimo i nostri occhi con la luce abbagliante del tuo Essere. Aiutaci a sentirti e ad amarti con cuore tenero e appassionato. Rendici docili e umili nell'ascoltarti, nel seguirti, nel partecipare ai nostri fratelli la gioia infinita della tua abissale Realtà d'Amore...

lunedì, maggio 31, 2010

La voce dell'altro Israele

Intellettuali e attivisti israeliani commentano l'assalto alla flotta di aiuti per Gaza, in attesa della reazione dell'opinione pubblica

PeaceReporter - Il mondo si è svegliat
bandiera israeleo, questa mattina, travolto dalle immagini e dalle notizie che giungevano dalla acque internazionali antistanti la Striscia di Gaza. In attesa di verificare, come ha subito chiesto l'Onu, quello che è successo oggi con l'eccidio di 19 persone a bordo del Mari Marmara, una delle navi della flotta di aiuti umanitari che faceva rotta su Gaza, PeaceReporter ha sentito alcune voci critiche in Israele.

''Alcune persone sono morte, tante altre sono rimaste ferite. Tutto questo non è responsabilità del governo israeliano. Loro fanno il loro mestiere, come sono abituati ad intenderlo. La vera responsabilità è della comunità internazionale che, ben prima di questa tragedia, non ha fatto nulla per porre fine all'assedio di Gaza. Gli esecutori materiali sono i soldati israeliani, ma la responsabilità morale di quello che è successo oggi ricade su tutta la comunità internazionale, compresa l'Europa'', commenta Jeff Halper. Ebreo statunitense, Halper ha fondato nel 1997 dell'Israeli Committee Against House Demolitions (Icahd), una organizzazione non governativa che si batte per contrastare la demolizione delle abitazioni palestinesi nei Territori Occupati e contro l'occupazione. Halper ha sempre denunciato in patria la condizione di vita della popolazione civile palestinese. ''In Israele ognuno crede all'esercito. Loro difendono le loro vite, sono sempre nella ragione. ''Oggi, nel porto di Ashdod, ci sono militanti di organizzazioni di destra, avvolti nelle bandiere israeliane, che festeggiano quella che ritengono una grande vittoria militare - commenta - E' difficile lottare contro questa mentalità".

''Un'azione criminale, una follia. Un'azione stupida che si rivelerà controproducente per lo Stato di Israele", dice Uri Avnery, scrittore israeliano, ebreo di origine tedesca e fondatore del movimento Gush Shalom (il blocco della pace) nel 1993.
Dopo aver lottato nelle file dell'Irgun, il moviemento armato che si batteva per la nascita dello Stato d'Israele, venne eletto come deputato alla Knesset, il Parlamento israeliano. Divenne famoso in tutto il mondo quando, nel 1982, in piena guerra del Libano, passò le linee per incontrare il leader palestinese Yasser Arafat. ''C'è un governo irresponsabile in Israele, che ritiene la forza l'unico strumento per risolvere i problemi. Quest'azione, in questa mentalità, vuole essere un deterrente, in modo che nessuno pensi più a iniziative di questo genere", continua Avnery. "In questo momento storico, in Israele, non c'è un'opposizione politica. Il partito più importante fuori dall'esecutivo, Kadima, non ha condannato in nessun modo quello che è successo. Mi aspetto che domani, quando sarà resa pubblica la dinamica di quello che è accaduto, l'opinione pubblica reagisca in modo indingnato".
lunedì, maggio 31, 2010

Veneto: trapianti e disabili mentali: «Modificheremo la delibera»

La Regione Veneto: non discriminiamo nessuno. I radicali: il governo imponga l’annullamento. L’associazione Down: questa è selezione genetica.

Aido.it - La Regione è pronta a rivedere e a modificare la delibera 851 del 31 marzo 2009 che, sulla base della letteratura scientifica internazionale, indica come «controindicazioni assolute al trapianto d’organo » un quoziente intellettivo inferiore a 50 e come «controindicazioni relative», cioè bisognose di «un’attenta valutazione dell’organizzazione psichica del paziente e del sistema sociofamiliare in cui è inserito », un QI minore di 70. Motivo: il timore che una persona con ritardo mentale non capisca l’importanza di assumere la terapia antirigetto post-intervento e possa dunque vanificare lo stesso e procurarsi più danno che beneficio.

Una posizione contestata dai professori Nicola Panocchia e Maurizio Bossola, nefrologi del «Gemelli » di Roma, e da Giacomo Vivanti, psicologo dell’Università della California, che in un articolo pubblicato sull’«American Journal of Transplantation » hanno accusato il Veneto di discriminare i disabili mentali, sollevando un polverone. «Non c’è alcuna volontà persecutoria— ribadisce l’assessore alla Sanità, Luca Coletto — al contrario, vogliamo assicurarci che questi pazienti abbiano qualcuno che li segua dopo l’operazione. In ogni caso, per evitare altre terrificanti strumentalizzazioni di un tema così delicato, i nostri tecnici stanno riesaminando il testo, al fine di scrivere richiami o linee interpretative dei nodi contestati.
Insomma, se per fare chiarezza bisogna modificare il provvedimento, lo faremo». Spiegazioni che non convincono le deputate radicali Maria Antonietta Coscioni e Rita Bernardini, firmatarie di un’interrogazione urgente con la quale chiedono al governo di intervenire «per verificare gli effetti concreti di questa delibera e ottenerne l’annullamento». «E’ un provvedimento aberrante —dichiarano le due parlamentari — faremo ricorso a tutti gli strumenti che la legge mette a disposizione perché i diritti dei disabili non siano così brutalmente e volgarmente calpestati. Escludere i ritardati mentali dal trapianto, sostenendo che non si può migliorare la qualità della loro vita, contraddice il più elementare senso di "pietas" umana, rivelatrice di una mentalità violenta».

Nonostante Coletto ribadisca che «il Veneto non ha mai negato il trapianto a nessuno», storce il naso anche Patrizia Tolot, vicepresidente dell’«Associazione Dadi» di Padova, fondata da genitori di ragazzi con sindrome di Down, autismo e disabilità intellettiva. «A parte il fatto che il quoziente intellettivo è molto difficile da misurare, specialmente nei bambini — riflette la Tolot — di fronte a misure di questo genere mi chiedo se il progresso della scienza serva a negare i diritti delle persone più deboli, piuttosto che ad aiutarle. Usate così le nuove frontiere del sapere diventano strumenti di selezione genetica e possono aprire strade pericolose, come quelle di programmare protocolli di analisi prenatali, mediche e psichiatriche per decidere chi ha il diritto di nascere e di vivere. La delibera regionale discrimina a priori i pazienti con ritardo mentale, perciò va ritirata e cambiata». «Se i medici veneti la seguissero, pazienti con la sindrome di Down sarebbero automaticamente senza speranza—rincara Ignazio Marino, senatore del Pd e chirurgo dei trapianti —. Mi pare grave e pericoloso. La valutazione va fatta caso per caso dai sanitari, sulla base di indicazioni cliniche e non di linee guida scritte a tavolino, che sanciscono che non vale la pena aiutare i più deboli. Tra l’altro discriminano anche le persone che hanno tentato il suicidio: io ne ho operata più di una e tutte mi hanno sempre ringraziato e ritrovato salute ed equilibrio». Inflessibile pure Vincenzo Carpino, presidente degli anestesisti: «Siamo contrari a qualsiasi forma di discriminazione nelle liste dei trapianti. Se gli organi sono compatibili, i pazienti sono tutti uguali.

In allegato il documento.

Documento integrale della Regione Veneto (pdf - 100Kb)
lunedì, maggio 31, 2010

5 milioni di persone l'anno muoiono per fumo e sono sempre più donne: la denuncia nella Giornata mondiale contro il tabacco

Il fumo miete sempre più vittime tra la popolazione femminile. E’ la denuncia dell’Organizzazione mondiale della sanità in occasione dell’odierna Giornata mondiale contro il tabacco.

Radio Vaticana - Secondo l’Oms, il tabacco uccide 5 milioni di persone l’anno, tra queste un milione e mezzo sono donne. Nel 2030 le vittime del fumo potrebbero arrivare a 8 milioni di persone. Servizio di Francesca Sabatinelli (ascolta).

L’emergenza è donna. L’Organizzazione Mondiale della Sanità lancia un allarme senza precedenti, perché senza precedenti è la percentuale di donne fumatrici. Il divario tra uomini e donne è sempre più ridotto e il dato più inquietante è che, a fronte dell’aumento degli uomini che abbandonano le sigarette, si registra la difficoltà delle donne a smettere di fumare. Le donne sono circa il 20% dell’oltre miliardo di fumatori nel mondo. A preoccupare il dato riferito ai Paesi in via di sviluppo. Roberta Pacifici, dirigente di ricerca dell’Osservatorio Fumo, Alcol e Droghe dell’Istituto Superiore di Sanità.


R. - Le multinazionali del tabacco stanno fortemente investendo nei Paesi ad economia di mercato in crescita, sfruttando, come hanno già fatto nei Paesi occidentali, il bisogno delle donne di libertà e di indipendenza, facendo leva sullo stereotipo, ormai storico, che lega il fumo di tabacco a situazioni di successo, di fascino e quindi di emancipazione. Sempre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci fa notare che nel 2030, se non si interverrà in maniera drastica, moriranno per patologie collegate al tabagismo oltre due milioni e mezzo di donne. Questi decessi, nell’oltre il 75 per cento dei casi, si verificheranno in Paesi a basso e medio reddito. Questo è un dato molto importante, perché significa che in quei Paesi già con difficoltà economiche, ci sarà poi l’emergenza di dover gestire patologie molto costose, come quelle collegate all’uso di tabacco.


La mappa indica tra i Paesi a rischio Cina, India, e quelli a medio e basso reddito dell’Est Europa al confine con l’Asia. In Italia degli 11,1 milioni di fumatori, 5 milioni e 200 mila sono donne. Percentuale molto alta che ormai si sovrappone a quella degli uomini. Se quindi in futuro nei maschi diminuiranno le malattie correlate al fumo, nelle donne ci sarà un incremento, inoltre si abbasserà sempre più l’età a rischio per contrarre un tumore a causa della difficoltà di raggiungere con la prevenzione i più giovani. Ma come riuscire ad arrivare a smettere di fumare? Ancora la dottoressa Pacifici:



R. - Prima di tutto c’è la voglia di smettere di fumare e poi abbiamo dei metodi per i quali è stata dimostrata l’efficacia. Tra questi il supporto psicologico, accoppiato ad un trattamento farmacologico con un sostitutivo della nicotina o un altro farmaco che agisce sulla compulsione. E poi ci sono tantissimi altri metodi, che possono andare dall’agopuntura, all’ipnosi, all’auricoloterapia, alla sigaretta elettronica, ma tutti metodi per i quali ancora non è stata dimostrata alcuna efficacia.



D. - Quali invece le strategie per aiutare a smettere di fumare?



R. - L’accesso gratuito ai centri antifumo, la rimborsabilità dei farmaci utilizzati nelle terapie di disassuefazione e un incremento molto significativo del prezzo delle sigarette.

lunedì, maggio 31, 2010

Molti gli italiani alla mensa dei poveri…

In aumento gli italiani davanti a mense di enti e istituzioni (soprattutto religiose) che offrono ogni giorno un pasto caldo. Tantissimi purtroppo, infiniti Roberto, Paolo, Francesco, Luca, Giovanni, Carlo, Maria, Paola, Lucia e Anna. La lista di sconosciuti potrebbe continuare riempiendo le pagine di questo e tanti altri giornali. Gente munita di amor proprio che fino a poco tempo fa possedeva casa, lavoro e la soffice coperta delle certezze…

di Stefano Buso

È così che inizia questa storia di tristezza e ruvida povertà. In un’uggiosa mattina di maggio, nella periferia di un’anonima metropoli italiana, in coda con i cittadini di serie B. Coloro che per la società non sono nulla o, al massimo, un numero di matricola previdenziale per chi ha raggiunto l’agognata pensione. Spesso non sufficiente a campare, e così ecco che si diventa improvvisamente poveri, minus habentes costretti a rifocillarsi alla mensa degli indigenti. “E per fortuna che c’è” – sussurra “un anziano” che prima di congedarsi dichiara di avere meno di 55 anni. “Cosa vi danno da mangiare?” - incalzo un po’ imbarazzato, seppur consapevole di dover espletare la mia ingrata mission. “Si mangia abbastanza bene ed è pulito - bisbiglia una signora - A pranzo vengo qua mentre la sera mi arrangio con un trancio di pizza o una focaccia”.

Proseguo la mia “indagine” in mezzo ai disperati dove sofferenza e disagio emergono sino a stringere la gola come un tragico cappio. I loro sguardi sono spenti. Che impotenza dinnanzi a situazioni del genere... “Lo scriva - implora un vecchietto - faccia sapere che con 350 euro al mese non si mangia né si sopravvive”. Già, lo stato di diritto sancisce che quantomeno la sopravvivenza sia garantita a tutti. Ma qui, tra chi ha perso tutto o quasi, rabbia e frustrazione sono i veri vincitori.
Difficile ambire a qualcosa in più che non sia un piatto riscaldato offerto da religiosi o ammirevoli volontari. Angeli sulla terra che dedicano tempo e danaro alle persone disagiate. Nel nostro Bel Paese dove i record strizzano l’occhiolino al negativo, il volontariato e la pietà umana sono il vero nodo pulsante che anima la società e la fa galleggiare. Una sorta di terapia necessaria e vitale.

Per fortuna ogni giorno, da gennaio a dicembre, festività comprese, le mense dei poveri aprono le porte e offrono una speranza. Menù, sguardi e discorsi sono sempre gli stessi. Qualcuno mormora felice che oggi c’è la pasta con il tonno e il budino alla crema. Una pochezza per chi è abituato a pranzare “à la carte”. Certamente un sollievo per quanti stanno affondando nel mare dell’indifferenza...
lunedì, maggio 31, 2010

Pastorale di insieme

del nostro redattore a Londra Renato Zilio

Nessuno è un’isola, affermava a suo tempo Thomas Merton. “Tout se tient” vi ripeteranno spesso i francesi, analizzando un problema o un fenomeno particolare e i suoi invisibili legami con tutto il resto. Sì, viviamo in tempi in cui si afferma sempre più il pensiero sistemico, cioè quello che sottende la relazione di una realtà con il tutto, un termine con il suo contesto, un problema con una visione di insieme. La complessità fa parte della vita.
Perfino nel mondo del lavoro ne vediamo le conseguenze. Si è esempre più sensibili oggi, secondo un’indagine recente, ad assumere uomini aperti, interattivi, che sappiano lavorare in equipe. Non tanto geni solitari. Lo spirito di equipe, che articola insieme le qualità differenti di ognuno come quella estetica, funzionale, filosofica... è un motore incredibile per un gruppo.
Il Concilio vaticano aveva scoperto questa dimensione - lo spirito di comunione - come un valore autentico. Come una perla impolverata e dimenticata nel cassetto di un armadio di casa, avrebbe aggiunto senz’altro Papa Giovanni. La si è definita come “collegialità”. Ed era ritrovare il senso della comunione, dopo secoli di verticalità e di senso forte dell’autorità.
Ora questa dimensione entra nella struttura della parrocchia. Considerata non più campanilisticamente come un microcosmo ecclesiale, arroccato sulla sua identità, le sue forze, il suo responsabile e i suoi componenti, un’isola precisamente. Ma, in un contesto pastorale di insieme, una parrocchia condividerà con altre i carismi, le energie, le prospettive e la povertà (quella progressiva tra l’altro di vocazioni e di pastori...).
Formerà un’oasi, un’unità pastorale. Sarà questa la sfida pastorale dei prossimi anni lanciata a tante parrocchie e alle missioni cattoliche italiane all’estero. Superando un “inquadramento territoriale” che ha caratterizzato per secoli la parrocchia in una sua precisa circoscrizione geografica, ci si lancerà in un agire pastorale in cui collaborazione, corresponsabilità, ricerca di sinergie saranno le parole-chiave. Questo tra i sacerdoti, innanzitutto, gli agenti pastorali e tutti i battezzati. Sarà una dinamica nuova con un’unica parola d’ordine: insieme.
Una pastorale di insieme, una pastorale di comunione, può proporre la fede all’uomo d’oggi con nuovi atteggiamenti, con uno stile rinnovato e delle risposte adeguate. Avanzare insieme, in fondo, è già uno straordinario messaggio per il mondo. Un soffio di Concilio per il nostro anno sacerdotale. Un miracolo, come lo sa essere sempre lo spirito di comunione.
lunedì, maggio 31, 2010

Sulla marea nera del Golfo è in arrivo una stagione degli uragani estremamente attiva

Anche l'ultima trovata della Bp (in collaborazione con la ExxonMobil), Il "Top Kill", ha fatto fiasco e la multinazionale petrolifera ha annunciato l'ennesimo nuovo metodo per tappare il vulcano petrolifero che sta avvelenando il Golfo del Messico.

Umberto Mazzantini

GreenReport
- Bisogna far presto perché la National oceanic and atmospheric administration Usa (Noaa) ha annunciato una stagione degli uragani «active to extremely active» le cui avvisaglie si sono già viste con la tempesta tropicale Agatha, la prima della stagione ciclonica (1 giugno - 30 novembre), che ha fatto più di cento morti e decine di migliaia di sinistrati in Guatemala ed El Salvador. Per l'ingordigia e l'imperizia umana che crede di risolvere tutto con qualche miracolo tecnologico ed ora con l'arrivo degli uragani che renderanno impossibile quello che è già difficilissimo, un altro fallimento dei tentativi della Bp di tappare la voragine petrolifera a 1.500 metri di profondità potrebbe davvero trasformarsi dall'attuale ecocidio in quella che Carol Browner, consigliere di Obama per le problematiche ambientali, ha definito «Probabilmente la peggiore catastrofe ecologica che hanno dovuto affrontare gli Stati Uniti. E' senza alcun dubbio la peggiore marea nera». Secondo i tecnici dell'amministrazione Obama, dal 22 aprile finiscono ogni giorno nel Golfo del Messico dai 2 ai 3 milioni di litri di greggio.

E' toccato al direttore della Bp, Bob Dudley, presentarsi davanti alle telecamere della Cnn per dire : «Siamo delusi per il fallimento del tentativo di controllare la fuga. Non siamo stati in grado di controllare la fuoriuscita dal pozzo. Il flusso era troppo grande. Non siamo stati capaci di invertire la pressione».

La Bp è ormai in piena crisi di nervi: fallito il pompaggio ad alta pressione di fango e cemento, sta pensando di riprovarci con un tubo ed una valvola che portino il petrolio in superficie per caricarlo su una nave, una cosa molto simile ad una tecnica già fallita qualche giorno fa, e che Obama ha subito criticato: «Questo dispositivo non è senza rischi e non è mai stato sperimentato prima a questa profondità».

Ma alla Bp non resta altro che provarci, sperando che i cristalli di ghiaccio e il gas non facciano saltare anche questo "coperchio": «Se riuscissimo a contenere il flusso del pozzo tra adesso ed agosto ed ad estrarlo dall'oceano, sarebbe un esito positivo. Dopo, se riuscissimo ad arrestare totalmente la perdita grazie ad un pozzo secondario, questa sarebbe ugualmente una buona notizia» ha detto Dudley.

Uragani permettendo e con un orizzonte temporale che si allontana sempre di più: agosto, per tappare del tutto una voragine che sta sputando sulle coste del Golfo del Messico un inferno nero.

Intanto la gente comincia ad arrabbiarsi davvero con la BP a New Orleans circa 500 persone hanno manifestato contro la multinazionale chiedendo che tappi la falla nel Golfo e che ripulisca tutto il disastro che ha provocato, ma soprattutto per chiedere il ritiro di tutte le concessioni offshore e che il governo prenda direttamente in mano la situazione. Ad ogni fallimento della Bp aumentano le critiche verso Obama (magari portate dagli amiconi repubblicani delle Big Oil) e il presidente sta veramente perdendo la pazienza: «E' frustrante e straziante, e non torneremo indietro fino a quando la perdita non sarà contenuta. il governo non ha una tecnologia superiore a quella di Bp in materia di contenimento in acque profonde». Eppure la Bp e il Mineral Service Management (Mms), l'agenzia che doveva controllare le piattaforme offshore delle multinazionali, avevano detto che queste tecnologie esistevano e che le trivellazioni a quelle profondità erano sicure anche in caso di incidenti. Il 27 maggio un sempre più imbarazzato Obama aveva avocato al governo la supervisione di tutte le decisioni della Bp da mettere sotto il controllo di un comitato scientifico presieduto dal segretario per l'energia, il premio Nobel per la fisica Steven Chu.

Quello che pensano sempre più americani è che Obama si sia fidato troppo delle promesse truffaldine della Bp, che ha barato per settimane anche sulla reale entità dello sversamento. In molti si chiedono anche perché Obama abbia aspettato un mese per licenziare Elizabeth Birnbaum, la direttrice di quel Mms che invece di essere controllore si è rivelato un inefficiente complice delle Big Oil.

Il governo Usa dà l'impressione di brancolare in un buio che Obama non riesce a diradare, continuando a sbattere in un solidissimo muro di gomma fatto di complicità ed opacità con quelle multinazionali che tengono i cordoni della borsa delle campagne elettorali dei repubblicani ed anche di molti democratici.

Il segretario agli interni Ken Salazar aveva promesso che sarebbe stato col fiato sul collo della Bp perché facesse progressi rapidi, altrimenti sarebbero cadute altre teste. Ma, malgrado la rabbia crescente della gente, che al 51% non è d'accordo su come l'amministrazione Usa ha gestito la crisi, il governo si attiene all'Oil Pollution Act del 1990 che prevede che l'inquinatore sia il pagatore e il responsabile ultimo delle operazioni di pulizia. «Gli interessi della BP sono allineati all'interesse generale. Vogliono ridurre i danni il più possibile» aveva detto Obama, riconoscendo poi di aver sopravvalutato la disponibilità delle compagnie petrolifere «A lavorare insieme nel caso del peggiore scenario».

Lo scenario peggiore è arrivato, è qui ed ora, sul fondo oscuro e freddo del Golfo del Messico, nelle ali degli uccelli inzuppate di greggio e nel grasso dei delfini e capodogli avvelenati dalle sostanze chimiche disperdenti, in attesa degli uragani e delle bizze di una Madre Terra che non ci interessa fino a che non la feriamo maldestramente in una delle sue vene profonde con la nostra ingordigia tecnologica mascherata da onnipotenza.
lunedì, maggio 31, 2010

Intervenga l’ONU sulla strage dei volontari sulle navi umanitarie

Prime reazioni sulla strage di pacifisti di questa notte nei pressi della striscia di Gaza

striscia di gazaIn merito all’uccisione e al ferimento di esponenti di ONG che recavano aiuti umanitari per le popolazioni di Gaza il Responsabile dell’Osservatorio per la Tutela dei Diritti dell’Associazione “Giuseppe Dossetti: i Valori – Sviluppo e Tutela dei Diritti” (www.dossetti.it), Corrado Stillo, ha dichiarato: "Il grande sconcerto per le uccisioni di esponenti pacifisti che recavano aiuti umanitari alle popolazioni della striscia di Gaza sta facendo il giro del mondo e delle principali ONG internazionali. Riteniamo che scagliare le forze militari di uno dei più potenti eserciti del mondo verso attivisti pacifisti che recavano cibo, case prefabbricate, medicinali a donne e bambini palestinesi, sia un atto di barbarie inaudita che, oltre ad una condanna morale, merita una riprovazione da parte dell’ONU.

Israele, da poco entrato nell’OCSE, deve uniformarsi alle leggi internazionali e alle regole umanitarie condivise dalla comunità umana. L’esempio di macelleria offerto dai soldati israeliani non aiuta di certo la causa della pace nella zona, né aiuta il mondo arabo ad una visione di Israele come Stato con cui costruire il futuro. Auspichiamo che l’UE, l’ONU e gli Enti Internazionali levino alta la voce di condanna e l’esortazione ad Israele a moderare l’uso delle armi e a far ricorso all’uso del dialogo e della trattativa".
lunedì, maggio 31, 2010

L’Onu vota il ritiro dei caschi blu dal Congo

“I Caschi blu, in Congo, sono una presenza ancora necessaria”: così dice all’agenzia Fides padre Loris Cattani, missionario saveriano animatore della "Rete Pace per il Congo".

Radio Vaticana - La sua dichiarazione giunge a commento della decisione del Consiglio di sicurezza dell’Onu di ritirare duemila Caschi blu della missione delle Nazioni Unite nell’area, denominata "Monuc". Entro il 30 giugno, quindi, i militari saranno ritirati da quelle zone in cui “le condizioni di sicurezza lo permetteranno”. La risoluzione, la 1925, adottata all’unanimità il 28 maggio scorso, stabilisce inoltre che la missione, dal primo luglio, si chiamerà "Monusco": Missione di stabilizzazione della Repubblica Democratica del Congo. Secondo padre Cattani, l’appoggio dell’Onu è ancora indispensabile soprattutto nella fase organizzativa delle prossime elezioni politiche, che avranno luogo nel Paese nel 2011, ma anche per quanto riguarda la sicurezza: "L’esercito congolese è formato da ex miliziani che fino all’altro ieri si sono combattuti a vicenda", ricorda il missionario. "Bisognerebbe creare un vero esercito professionale con personale selezionato e addestrato, ma occorrono tempo e denaro".

lunedì, maggio 31, 2010

Assalto israeliano a flotta di pacifisti pro Palestina, 15 morti

E' finito in un bagno di sangue, con almeno 10, forse 20 morti, l'assalto condotto stanotte dalle forze israeliane contro la flottiglia multinazionale di attivisti filo-palestinesi in navigazione verso la Striscia di Gaza.

Ansa.it - L'azione - ripetutamente minacciata da Israele nel caso in cui gli attivisti avessero cercato di forzare il blocco imposto attorno alla Striscia fin dall'avvento al potere degli islamico radicali di Hamas, nel 2007 - è avvenuta di notte in acque internazionali, a qualche decina di miglia dalla costa.
L'epicentro degli scontri - che hanno provocato un'immediata crisi diplomatica fra Israele e Turchia, in prima fila nel sostegno alla flottiglia - è stata la nave di una ong turca che guidava la spedizione: promossa dal movimento 'Free Gaza' con la partecipazione di circa 700 persone (tra cui almeno cinque attivisti italiani) e l'intenzione dichiarata di portare un carico di aiuti a Gaza sfidando il blocco. Secondo le ricostruzioni dell'episodio, ancora frammentarie, i commando israeliani hanno aperto a un certo punto il fuoco facendo un numero di morti compreso fra 10 e venti, a seconda delle fonti, oltre a numerosi feriti. Stando a un portavoce militare dello Stato ebraico, a innescare il caos sarebbe stato il tentativo di alcuni attivisti di resistere all'abbordaggio con bastoni, coltelli e almeno un'arma da fuoco, sottratta - pare - a un soldato. Fra i militari si contano quattro feriti, ha aggiunto il portavoce, accusando i promotori della flottiglia di aver organizzato una "provocazione violenta".

Alla fine le navi sono passate sotto il controllo israeliano e sono attualmente scortate verso il porto di Ashdod (sud di Israele), chiuso ai media. Nessuna conseguenza è segnalata per gli attivisti italiani. Israele ha intanto elevato il livello di allerta sul fronte nord (con il Libano) e su quello sud (con la Striscia di Gaza). Ma a ribollire è pure il fronte interno degli arabo-israeliani: un leader radicale di questi, lo sceicco Saleh, dirigente del Movimento Islamico in Galilea, partecipava alla spedizione e risulta essere stato ferito. Dalla Cisgiordania, il presidente palestinese, Abu Mazen (Mahmud Abbas), ha denunciato l'accaduto come "un massacro", dichiarando tre giorni di lutto nazionale.

Da Gaza, invece, i dirigenti di Hamas hanno parlato di "crimine" commesso da Israele, preannunciando reazioni e chiedendo risposte internazionali. Un esponente islamico, Ahmed Yusef, ha invocato "un'intifada" di popolo dinanzi alle ambasciate d'Israele nel mondo. La tensione, del resto, è già salita alle stelle con la Turchia, dove sono in corso manifestazioni di piazza anti-israeliane. Il Paese - già alleato strategico di Israele, ma da mesi in grave crisi di rapporti con lo Stato ebraico - aveva chiesto alla vigilia al governo di Gerusalemme di lasciar passare la flottiglia. L'epilogo ha indotto ora Ankara a prefigurare "conseguenze irreparabili" nelle relazioni bilaterali: tanto più gravi se sarà confermata la notizia secondo cui almeno 9 vittime sono turche. (continua a leggere)
lunedì, maggio 31, 2010

"La Memoria delle Cose" di Beatrice Immediata

del nostro redattore Carlo Mafera

memoria delle cosePennellate delicate sono i racconti di Beatrice Immediata. Sembra di stare davanti a dei quadri impressionisti dipinti ad olio, o meglio ancora, sembra di leggere le poesie di Guido Gozzano o il libro Cuore di De Amicis. Ci troviamo di fronte ad una prosa, quella dei buoni sentimenti ma soprattutto quella ricca dei veri valori cristiani spesso dimenticati dalla nostra società. Ogni capitolo affronta in poche battute un tema diverso. E ogni tema è di grande spessore esistenziale. È bello leggere la prosa di Beatrice Immediata perché sconfina nella poesia, quasi nel verso sublime, arrivando sempre al centro, al cuore del problema. Sorprende piacevolmente che un’autrice laureata in pedagogia e studi di comunicazione di massa, quindi abituata a leggere e scrivere saggi il cui stile aridamente scientifico non lascia spazio al linguaggio dialogico e verbale, sia capace di trascendere la fredda fraseologia razionale tipica dei testi scolastici. L’autrice tratta infatti argomenti psicologici, sociologici e antropologici in modo colloquiale come se si stesse davanti ad un caminetto scoppiettante magari mangiando un pezzo di pane appena sfornato. Sarebbe bello virgolettare tutto il libro “zippandolo”, come si dice oggi, senza commentarlo. È veramente essenziale nelle sue affermazioni e emana una bellezza narrativa difficilmente riscontrabile nei libri di narrativa contemporanea. Ma dovendo scegliere qualche passaggio significativo mi piace estrapolare quello sul tempo (pag. 94) “Noi oggi consegniamo il nostro tempo a una agenda che ne scandisce con diabolica accelerazione le ore frantumandole. Non abbiamo più unità, viviamo il frammento; viviamo una paurosa scomposizione e accelerazione del tempo. “Non ho tempo”: è lo slogan che ripetiamo di continuo, quasi una giaculatoria, ogni volta che qualcuno ci interpella. Urge decelerare questo stato di cose; azionare il freno di emergenza se vogliamo recuperare l’armonia fra tempo e spazio da vivere. Quell’armonia che Dio ci donò in tempi lontani, all’alba dell’umanità, perché la vita fosse vivibile, appagante. E perché favorisse un rapporto d’amore con Lui, l’Invisibile, il tutto Altro, il punto Omega dell’umanità.” E alla fine Beatrice Immediata, nell’ultima pagina del suo racconto riferisce quanto un vecchio missionario dice ad una signora “Gettate sempre dei semi attorno a voi: sarà il seme di un sorriso, un gesto di bontà, di solidarietà… Qualcosa fiorirà anche se non lo vedrete…” Anche per me questo libro è stato un seme che ha portato frutto arricchendomi e confortandomi con le sue giuste e illuminanti parole tese al raggiungimento della speranza che sì, è dentro di noi, ma che va suscitata dalla riflessione pensata e matura come quella di Beatrice. Una riflessione che è stata per me un vero balsamo e mi ha alleviato la fatica di una giornata di lavoro nella sua lettura serotina. Nella “Memoria delle cose” la professoressa Immediata ha la capacità di portare il lettore verso la gioia e la consapevolezza di una Presenza: quella di Dio nella nostra vita.
lunedì, maggio 31, 2010

La Sindone, specchio del Vangelo e provocazione all’intelligenza

del nostro collaboratore Bartolo Salone

sindone negativoSi è chiusa il 23 maggio, giorno di Pentecoste, la solenne ostensione del Sacro Lenzuolo che, secondo la tradizione, avrebbe avvolto il corpo di Cristo morto una volta deposto dalla croce. Strabilianti sono le somiglianze dell’immagine rimasta impressa, per cause a noi ancora sconosciute, sul telo sindonico con la descrizione della passione e della morte in croce di Cristo nostro Signore contenuta nei quattro vangeli, al punto da indurre Giovanni Paolo II a definire la Sindone “specchio del vangelo”. Dalle analisi effettuate da numerosi medici legali è emerso, infatti, che l’impronta sul Lenzuolo è incontrovertibilmente quella del cadavere di un uomo dapprima flagellato e poi crocifisso. Osservando la Sindone, è dunque possibile rivivere quei momenti finali e, per noi credenti, decisivi dell’esistenza terrena del Nazareno e riflettere sull’amore immenso di un Dio che non è rimasto indifferente alle miserie umane, ma che si è compromesso con la realtà dell’uomo fino al punto da sperimentare sulla sua pelle gli aspetti più tragici ed inquietanti della dimensione umana, dominata immancabilmente dal peccato e dai suoi frutti di ingiustizia, sofferenza e morte. L’immagine sindonica è quindi uno schiaffo ad ogni perbenismo, all’ingenua convinzione illuministica della bontà naturale dell’uomo; è un richiamo vigoroso alla realtà misteriosa e al contempo tragica del peccato; un’esortazione a lasciarsi riconciliare con Dio, ad accogliere la sua misericordia, che sola può risollevarci dalla nostra misera condizione. Sono queste le ragioni che stanno alla base della decisione della Chiesa di consentirne l’esposizione pubblica e periodica ai fedeli, ragioni quindi di carattere squisitamente religioso e pastorale: quando si parla della Sindone, infatti, si finisce con il parlare immancabilmente anche di Cristo. D’altronde, il valore religioso di una reliquia prescinde dalla sua autenticità, essendo le reliquie venerate innanzitutto per ciò che rappresentano, per le realtà sacre a cui rimandano e per i sentimenti di pietà che sono capaci di suscitare nel popolo dei credenti.
Ciò non toglie che la Sindone di Torino possegga un interesse anche scientifico, per talune caratteristiche dell’immagine che solo di recente, con gli ultimi sviluppi della tecnologia, si stanno comprendendo appieno e che portano sempre più ad escludere che si tratti dell’opera di un falsario medievale. Dalle prime riproduzioni fotografiche effettuate nel 1898 da un avvocato, Secondo Pia, è emerso il carattere della “negatività”: l’impronta sindonica si comporta come un negativo fotografico, con una distribuzione di luce esattamente opposta a quella che percepiamo nella realtà, per cui è sul negativo fotografico che possiamo osservare il volto dell’uomo della Sindone come se fosse di fronte a noi. Il fatto eccezionale è che si tratta di un negativo “naturale”. L’altra caratteristica singolare è quella della “tridimensionalità”, emersa dalle elaborazioni elettroniche effettuate negli Stati Uniti prima e in Italia poi rispettivamente nel 1977 e nel 1978. E pensare che il 3D comincia a circolare nelle nostre sale cinematografiche da quest’anno!
Ma le sorprese non finiscono qui. E’ stato infatti dimostrato dall’analisi dei campioni di tessuto prelevati nel 1978 che le macchie di colore rosso visibili sul telo sono realmente macchie di sangue umano di gruppo AB. A ciò si aggiunga l’assenza sul lenzuolo di pigmenti e coloranti e la circostanza che l’immagine corporea – come è stato dimostrato – è dovuta ad una ossidazione-disidratazione della cellulosa della fibre superficiali del tessuto, che è assente al di sotto delle tracce ematiche: il che lascia supporre che l’immagine si sia formata successivamente ad esse (dunque l’uomo della Sindone sarebbe stato dapprima avvolto nel Lenzuolo con le ferite ancora sanguinanti e su di esse, in un secondo momento, si sarebbe impressa, per un singolare processo naturale, l’immagine cadaverica).
Accanto a questi elementi che, considerati congiuntamente, convergono verso una valutazione di autenticità del reperto, residua un problema di datazione su cui gli scienziati stanno ancora lavorando. L’esame di un campione di tessuto effettuato nel 1988 col metodo del radiocarbonio ha consentito di datare il reperto nel periodo compreso fra il 1260 e il 1390, risultato del tutto congruente con le testimonianze storiche in nostro possesso (la prima notizia certa della presenza della Sindone in Europa risale al 1350, quando il cavaliere francese Geoffroy de Charny fa costruire una chiesa a Lirey per custodire e mostrare la reliquia ai fedeli). Questo risultato, però, forma oggetto di ampio dibattito fra gli studiosi sia sotto il profilo della attendibilità del metodo del radiocarbonio (che non di rado, specie per la datazione di reperti molto antichi e dalle caratteristiche fisico-chimiche alquanto compromesse, ha condotto a risultati errati anche dell’ordine di migliaia di anni) sia perché la datazione medievale contrasta con i risultati ottenuti in altri campi di ricerca (significativo il rinvenimento sul telo di tracce di pollini provenienti da piante che crescono solo in Palestina e in Anatolia, i quali testimoniano una permanenza anteriore – visto che dal 1350 la Sindone non si è mai mossa dall’Europa – in quei luoghi).
Dunque, la Sindone è una vera e propria “provocazione all’intelligenza” (secondo un’altra celebre definizione di papa Wojtyla), perché allo stato attuale si tratta di un enigma scientifico non del tutto risolto. Di questo è consapevole la stessa Chiesa, che non si è mai pronunciata ufficialmente in favore dell’autenticità della Sindone, pur esortando gli scienziati a proseguire le loro ricerche in maniera serena e senza posizioni precostituite. Come ha ricordato il cardinale Poletto nel discorso di apertura dell’ ostensione da poco conclusasi: “Non trattandosi di materia di fede, la Chiesa non ha competenza specifica nel pronunciarsi sull’autenticità o meno della Sindone. Compete agli scienziati e agli storici seri valutare e risolvere tale questione, cioè dire con certezza se la Sindone corrisponde o no al vero lenzuolo che ha avvolto il corpo di Gesù durante la sua breve sepoltura. A noi basta per ora affermare che quanti finora l’hanno studiata a lungo e con criteri scientifici non sono riusciti a spiegare come si sia formata quell’immagine, che certamente non è un manufatto, per cui permangono fondate, con alto grado di probabilità, le ragioni in favore della sua autenticità”. Questa la posizione attuale delle gerarchie ecclesiastiche sul telo sindonico, una posizione ben lontana e dalla negazione preconcetta (tipica di un atteggiamento sostanzialmente antiscientifico, comunemente noto come scientismo) e dal fideismo cieco, anch’esso antiscientifico, che rifugge con orrore da ogni indagine condotta sulla base di criteri oggettivi e che finisce col confondere la verità con ciò che si crede (tale fideismo essendo espressione più della mentalità moderna, sempre più soggettivistica e relativistica, che di un’autentica visione cattolica, alla quale è estranea l’idea del credere ciecamente e senza prove). Alla luce di questi rilievi, emerge chiaramente inoltre la strumentalità delle critiche di quanti, a proposito delle ostensioni della Sindone, accusano la Chiesa di abuso della credulità popolare. In realtà, come si è visto, le ostensioni sono motivate principalmente da ragioni pastorali e non impegnano una attestazione di autenticità, per la quale la Chiesa attende fiduciosa il verdetto della scienza ufficiale. Rimane fermo, ovviamente, che, in mancanza di un pronunciamento ufficiale della gerarchia ecclesiastica, il fedele rimane libero di credere o meno nell’autenticità della Sindone, tanto più che non si tratta di materia di fede. E’ bene ricordare, infatti, che la fede cristiana prescinde dalla Sindone, essendo fondata sulle sacre scritture e sulla testimonianza degli apostoli nonché su quella perenne testimonianza dello Spirito che sostiene la Chiesa nel corso dei secoli: queste sono le sole voci a cui un cristiano dovrebbe dare ascolto per alimentare la sua vita di fede.
domenica, maggio 30, 2010

Madonna ritrovata: presentato a Savona un prezioso dipinto del Seicento

Nel pomeriggio di oggi sarà presentato a Valleggia, in provincia di Savona, presso il Santuario Basilica N.S. di Misericordia e nell’ambito del Convegno diocesano delle corali, un dipinto risalente alla metà del Seicento recentemente restaurato.

Radio Vaticana - La frazione è cresciuta intorno alla basilica eretta sul luogo dell'apparizione di Nostra Signora della Misericordia al beato Antonio Botta, avvenuta nel 1536. La tela ritrae una bellissima Madonna della Misericordia assieme al beato, per questa ragione i promotori dell’iniziativa, d’accordo con gli organizzatori della rassegna corale e la diocesi, hanno deciso di presentarne il completo recupero proprio nel luogo dell’apparizione mariana. Lo rende noto un comunicato stampa straordinario della Curia diocesana di Savona-Noli. La Vergine appare in una posizione dinamica, con un movimento che ricorda la raffigurazione di una Nike, la classica Vittoria Alata, e tuttavia riesce a dare nel contempo una sensazione di serena quiete. Dal volto, sembra trasparire la solennità del messaggio rivolto ad Antonio Botta: questi è raffigurato con il viso illuminato e gli occhi irresistibilmente attratti da quella presenza radiosa. “Di questa tela si era persa memoria – viene spiegato nell’opuscolo che sarà diffuso al Santuario - dimenticata da almeno cinquant’anni in uno scantinato buio e polveroso, nascosta da cumuli e cumuli di carabattole. Un destino che la esponeva a molti pericoli, a danni forse irreparabili”. Al momento del ritrovamento il dipinto si presentava infatti lacero, strappato, con cadute di parti di pittura e persino con qualche spruzzo d’ intonaco. Anche in quelle condizioni, tuttavia, l’immagine rivelava una qualità sorprendente rappresentando l’iconografia dell’apparizione della Madonna al beato Antonio Botta con caratteristiche originali. Il restauro, finanziato dalla generosa disponibilità del Lions Club Savona Torretta, si presentava quindi estremamente impegnativo. E’ stato eseguito con grande maestria dal laboratorio genovese di Nino Silvestri sotto l’attenta direzione del dott. Massimo Bartoletti della Soprintendenza per i beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Liguria.

domenica, maggio 30, 2010

Aperto ufficialmente il primo Villaggio SOS in Giappone

Nella storica città di Fukuoka è sorto il primo Villaggio SOS giapponese, inaugurato ufficialmente dal sindaco lo scorso aprile.

S.O.S. Villaggi - Situata sulla costa settentrionale dell'isola di Kyushu, Fukuoka è la capitale della Prefettura di Fukuoka, a circa 1.100 km a sud ovest di Tokyo. Il Villaggio SOS è formato da 5 case famiglia che potranno accogliere un massimo di 25 bambini. Le prime 3 Mamme SOS hanno iniziato il loro lavoro,dopo aver completato 2 anni di formazione professionale. Il Giappone ha atteso per lungo tempo l’apertura di strutture di accoglienza infantile basate su un approccio di tipo famigliare, modello seguito dalla nostra associazione da più di 60 anni. Nell’isola orientale sono circa 40.000 i bambini in custodia a causa di abusi e altre problematiche familiari o sociali, di questi oltre il 90 per cento vive in orfanotrofi, secondo le guide del Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare.




Durante la festa per l’inaugurazione, gli ospiti d'onore sono stati il vice governatore di Fukuoka, Jutta Stefan-Bastl (ambasciatore austriaco in Giappone) e Siddhartha Kaul (Vice Segretario Generale di SOS Villaggi dei Bambini International). Amici, volontari e parte della popolazione locale hanno partecipato alla cerimonia.

Siddhartha Kaul ha commentato: “Al Villaggio SOS i bambini crescono con tutta la sicurezza e la protezione di cui hanno bisogno. Abbiamo iniziato bene qui in Giappone e con gli amici e i sostenitori che porteranno presto il loro aiuto, sono sicuro che i bambini in difficoltà potranno trovare una nuova speranza”.

Le case famiglia del Villaggio SOS di Fukuoka sono state costruite grazie alle donazioni di aziende, donatori privati e altri sostenitori della nostra associazione in Giappone.

domenica, maggio 30, 2010

Gay aggredito a Roma: 'premier approvi legge contro omofobia'

Grave atto di omofobia nella capitale, un ragazzo è stato aggredito nella notte tra martedì e mercoledì scorso, a Roma, all'uscita da un locale gay.

Ansa.it - Un appello al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi "affinché venga approvata la legge contro l'omofobia". A lanciarlo è il giovane omosessuale aggredito nella notte tra martedì e mercoledì scorso, a Roma, all'uscita da un locale gay. Il giovane, dimesso ieri mattina, si trova ora a casa con i propri familiari e preferisce, al momento, spiega una nota dell'Arcigay Roma, non intervenire in pubblico e continuare a mantenere la propria privacy per agevolare il corso delle indagini.

"Volevo ringraziare Gay Help Line - afferma il giovane - per il sostegno ricevuto e tutte le istituzioni per la solidarietà espressami, però credo ci sia bisogno di azioni concrete e volevo fare un appello al presidente Berlusconi affinché venga approvata la legge contro l'omofobia e nello stesso tempo mi auguro che le Forze dell'Ordine risolvano il mio come tutti gli altri casi irrisolti e come atto di civiltà spero - conclude - che ci sia una partecipazione attiva al prossimo Gay Pride di Roma del 3 luglio dove sicuramente parteciperò anche io".

Una serata spensierata passata con gli amici nella 'Gay street'. Ma una volta rimasto da solo, la notte romana ha materializzato un incubo: dietro l'angolo lo aspettava il ghigno dei suoi aguzzini, che lo hanno riempito di botte urlandogli "Frocio di m...". Sono gli attimi di terrore vissuti da un giovane omosessuale a Roma, pestato a sangue nei pressi del Colosseo da un gruppo di quattro o cinque ragazzi. La vittima, che ha denunciato la vicenda attraverso l'Arcigay, ha persino rischiato di perdere un occhio. Il giovane, un romano di 24 anni, stava tornando a casa dopo essere stato nel vicino locale della Gay street, il 'Coming out'. Una volta arrivato alle scale per raggiungere via Cavour e poi la stazione Termini, é stato accerchiato dal gruppo di ragazzi tra i 25 e i 30 anni.

La vittima ha subito capito di essere stata seguita. "Sei un frocio di m...", gli urlavano. Lui ha avvertito subito il pericolo e ha lanciato l'Sos chiamando al cellulare il suo compagno. Hanno cominciato a prenderlo a pugni. Poi, una volta finito a terra, gli hanno sferrato calci dappertutto e prima di scappare gli hanno rubato il cellulare. Dopo poco è arrivato il compagno della vittima e un altro amico. Ma l'incubo non era ancora finito. "In via Cavour, uno dei miei due soccorritori ha chiesto dei fazzoletti in un bar per tamponare il sangue, ma loro si sono rifiutati. Nel frattempo io non ero cosciente e il mio sangue colava", ha spiegato la vittima al suo avvocato Daniele Stoppello. Il ragazzo aggredito - ha spiegato il legale - è stato ricoverato d'urgenza all'Umberto I, riportando diverse ferite, tagli e contusioni al volto e rischiando di perdere l'occhio. "Mi sono sentito la loro cavia", ha detto oggi il giovane omosessuale ricordando sconvolto quei momenti di paura - L'unico potere che ho in questo momento è quello di denunciare i miei aggressori. Mi auguro la collaborazione di qualcuno, ma spero che nessuno abbia assistito a quanto è successo, perché sapere che qualcuno ha visto e non parla mi farebbe ancora più male". L'aggressione è avvenuta in via del Fagutale.

Unanime lo spirito di solidarietà al giovane aggredito e lo sdegno per la vicenda, manifestati da molti esponenti politici, prima tra tutte il ministro Mara Carfagna, dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, dal presidente della Provincia Nicola Zingaretti e dalla presidente della Regione Renata Polverini. Per il ministro per le Pari Opportunità è indispensabile che "chi ha visto, parli. Lo faccia per assicurare alla giustizia una banda di delinquenti e, se non basta, per riparare all'errore di non essere intervenuto ad aiutare un ragazzo vittima di una barbara aggressione". L'Arcigay di Roma ha lanciato "un appello alle forze dell'ordine affinché rintraccino i colpevoli di questa aggressione così violenta", perché "sono troppi i casi di omofobia irrisolti di cui non sono stati individuati i responsabili".Mentre per il commissario straordinario della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca, "gli episodi di violenza quotidiani che sentiamo riportare dalla stampa e che i nostri operatori registrano sul territorio ogni giorno sono un campanello d'allarme di un'escalation di intolleranza e discriminazione nei confronti dei cosiddetti "diversi".

Dall'agosto dello scorso anno, quando una coppia di ragazzi gay fu aggredita di fronte al Gay Village e uno di loro fu ferito da un colpo di bottiglia rotta sferrato all'addomme, nella Capitale si sono verificate diverse aggressioni contro gli omosessuali. L'ultima lo scorso aprile: nella notte un giovane volontario di Arcigay era stato insultato e aggredito da un gruppo di quattro ragazzi a bordo dell'autobus a Trastevere.

domenica, maggio 30, 2010

L’Ue e l’immigrazione in un dibattito proposto dai Cristiani per l’Europa

L’Iniziativa dei Cristiani per l’Europa, creata da associazioni e singole personalità operanti su scala continentale, propone per martedì primo giugno a Bruxelles un dibattito pubblico dal titolo “Migrazioni, una sfida per l’Unione Europea e i cristiani d’Europa”.

Radio Vaticana - L’appuntamento promosso da Jérôme Vignon delle Settimane Sociali di Francia, da Gabriele Erpenbeck del Comitato centrale dei cattolici tedeschi e da Andrea Olivero delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani arriva in un momento di fondamentale importanza per l’Ue, che sta elaborando un sistema di asilo comune. Argomenti come l’immigrazione e il diritto d’asilo, si legge in una nota del Sir, assumono un ruolo centrale in un momento in cui l’Unione Europea deve far fronte a sfide crescenti in tema di immigrazione e integrazione. Si cercherà di sciogliere questi nodi attraverso tavole rotonde, che affronteranno la questione sotto il profilo teorico, pratico e politico.

domenica, maggio 30, 2010

La Compagnia dei Colori presenta Skylight al Teatro Sette

del nostro Carlo Mafera

Uno scontro culturale tra due modi diversi di vedere il mondo: questo è una delle chiavi di lettura di “Skylight”, un viaggio, un percorso nelle attuali dinamiche familiari diventate oramai consolidate nella nostra società contemporanea. Due esseri umani, Marco e Laura, che si cercano e si respingono in un gioco infinito e Claudio, il figlio di Marco, che prova asd attutire le loro tensioni cercando ciò che li unisce piuttosto ciò che li divide.
Marco è un uomo abituato a fare del lavoro e del denaro gli idoli a cui sacrificare gli affetti. Laura invece è alla ricerca dei veri valori umani: una donna che scappa dalla casa dove per sei anni aveva vissuto una relazione con Marco quando ancora sua moglie Alice era in vita, per trovare la sua dimensione. Cioè quella di una tranquilla professoressa dedita alla formazione dei suoi alunni in una realtà molto difficile quale quella dell’estrema periferia romana. Marco torna a cercarla e riesce a trascorrere e condividere qualche tempo con lei. Ma poi il suo istinto di uomo che vuole avere tutto, che vuole imporre la sua filosofia e il suo stile di vita anche agli altri, prevale rovinando di nuovo la relazione che si era fragilmente creata. Forse quello che manca a Marco è la capacità di ascoltare gli altri, il figlio Claudio e Laura. L’autore non da una prospettiva e un finale positivo e propositivo. L’ascolto empatico e attento dell’altro da parte di Marco avrebbe implicato la capacità di aprirsi a una lettura della situazione diversa dalla propria, come se il proprio punto di vista fosse soltanto uno dei tanti possibili che rispecchiava la personale “mappa del mondo”. Ciò avrebbe comportato il non rifiutare o squalificare l’altro o ciò che proponeva ma avrebbe implicato l’accettazione della sua personale visione della realtà. Sarebbe stato bello un finale così con tale ascolto empatico, ma purtroppo ognuno di loro Marco, Laura e Claudio ritornano mestamente nei loro ruoli di sempre come molto spesso avviene nella realtà di migliaia di famiglie dove aleggia il disagio comunicativo. Chissa’ se un giorno lo stesso autore ipotizzerà un finale positivo che lasci spazio alla speranza e non alla amarezza della difficoltà comunicativa.
domenica, maggio 30, 2010

Veneto: una direttiva nega i trapianti ai pazienti ritardati

Scandaloso il criterio pubblicato sulla Gazzetta regionale del Veneto: “Non esiste alcun motivo razionale per negare a priori un organo a pazienti con ritardo mentale”

Radio Vaticana - Così Nicola Panocchia del servizio di emodialisi del Policlinico Gemelli, che insieme al collega Maurizio Bossola e allo psicologo californiano Giacomo Vivanti, ha pubblicato uno studio sulla rivista American Journal of Transplantation dopo una direttiva in senso opposto della Regione Veneto (n. 851 del 31 marzo 2009). In sostanza si smontano punto per punto le linee guida fatte proprie dalla giunta precedente a quella del governatore Luca Zaia, denunciando - di fatto - una pesante deriva eugenetica ed eutanasica. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso dott. Nicola Panocchia (ascolta):


R. - Siamo rimasti molto sorpresi dal fatto che un’istituzione pubblica avallasse di fatto - con la pubblicazione nella Gazzetta Regionale - un criterio che a nostro avviso non trova un riscontro né giuridico né etico né clinico e vale a dire quello di escludere a priori i pazienti con ritardo mentale dalla trapiantabilità.


D. - Viene ribadito anche dal Centro Nazionale Trapianti: fino ad oggi a livello nazionale non c’è questa discriminazione anche se il Veneto apre a questa possibilità…


R. - Di fatto a livello nazionale quasi tutti i centri hanno finora sempre valutato il paziente caso per caso, senza - diciamo - avere dei valori soglia, come il Qi inferiore a 50 o a 70, ma sempre valutando il singolo paziente. Questa a noi sembra essere la valutazione più corretta da fare.


D. - Voi ribadite che il problema non è politico, ma è molto più grave…



R. - E’ chiaro che le linee guida pubblicate dal Veneto hanno recepito verosimilmente delle linee guida cliniche, mediche, psicologiche e quindi elaborate da esperti. Il problema è ancor prima che politico - vorrei dire - un problema medico. D’altra parte noi ritroviamo, soprattutto in letteratura anglosassone, alcuni autori che sostengono che il trapianto - anche se salvavita - non è indicato, non è di beneficio ai pazienti con ritardo mentale, perché questi non miglioreranno la loro qualità di vita con il trapianto. Ma la qualità di vita è decisa da chi? E’ misurata da chi? E’ questo il vero nocciolo della questione!


D. - Chiaramente per quanto riguarda il caso del Veneto, ora ci si aspetta un correttivo?
R. - Questo ce lo auguriamo tutti. D. - Dottor Panocchia, per quale motivo - secondo il Veneto - c’è la possibilità di escludere chi ha un ritardo mentale dal trapianto?


R. - Queste linee guida non entrano nel merito direttamente, ma verosimilmente almeno tra gli autori che in letteratura si trovano favorevoli all’esclusione di questi pazienti dal trapianto, noi troviamo quattro motivazioni fondamentali, che però noi nel nostro articolo argomentiamo e riteniamo non siano valide. La prima è appunto quella di una ridotta aspettativa di vita, ma questo non è necessariamente vero. Il secondo problema, che è quello - diciamo - più importante, è quello della “mancanza di compliance”, della mancanza cioè di capacità del paziente di aderire alla terapia. Ma anche un bambino, di fatto, non è in grado da solo di aderire ad una terapia: se non ha un nucleo familiare che lo sorregge, un bambino non è infatti in grado di assumere nessun tipo di terapia. Poi c’è l’incapacità di comprendere il processo del trapianto: ma anche qui basta pensare ai bambini e a molti adulti che non capiscono completamente alcune procedure mediche a cui vengono sottoposti. Infine, e questo è poi il problema che si ritrova molto spesso nella letteratura anglosassone, ci sono alcuni articoli ed anche alcuni bioeticisti che sostengono che sia inutile trapiantare queste persone, perché poi in termini di qualità di vita non si gioveranno del trapianto. Ma ripeto ancora: chi la valuta la loro qualità di vita?



D. - Viene messa in discussione addirittura la dignità umana?



R. - Siamo al solito problema del concetto chi è persona e chi no. In fondo questo è alla base di molte controversie proprio in bioetica.



D. - Un’eugenetica, un uomo cioè fatto ad immagine di qualcuno che lo pensa come perfetto?



R. - Direi proprio di sì. Se vogliamo essere brutali è come se si stesse affermando: “non sprechiamo pezzi di ricambio per persone per cui non ne vale la pena”, è questo il messaggio che molto spesso si ritrova.

domenica, maggio 30, 2010

Nuovo fiasco Bp, abbandonata top kill

Obama: "fallimento che infuria e spezza il cuore". Top Kill è ufficialmente morta: tre giorni e 35 mila barili di fluidi dopo l'inizio del pompaggio, l'ultima manovra di Bp per fermare la marea nera nel Golfo del Messico è stata abbandonata.

Ansa.it - "E' un fallimento che infuria e che spezza il cuore", ha detto il presidente Barack Obama dopo che in una conferenza stampa a Robert in Louisiana Doug Suttles, il Chief Operating Officer della multinazionale del petrolio, aveva annunciato il nuovo fiasco. Bp passa adesso a una nuova manovra per cui si è data quattro giorni, forse piu', di tempo: si chiama Lower Marine Riser Package (LMRP), nella sostanza un 'cappuccio' o una 'mini-valvola' posizionato sopra la supervalvola che non ha funzionato in aprile e collegato alla nave di appoggio in superficie con cui Bp si augura di catturare il grosso del greggio e del gas che escono dal pozzo danneggiato 40 giorni fa. "Ma è una manovra non priva di rischi, ed ecco perchè non è stata tentata prima", ha detto Obama da Chicago dove si trova con la famiglia in una difficile vacanza per il 'ponte' del Memorial Day, mentre la costa degli stati che si affacciano sul Golfo del Messico ricevono una nuova condanna a morte.

La nuova battuta d'arresto - la terza dopo il fallimento della cupola e del 'siringone' - e l'annuncio del 'piano D' hanno chiuso una giornata contrassegnata da indignazione crescente. Proteste in Louisiana, proteste a New York: ipnotizzati dalla 'spill-cam', la telecamera che trasmette immagini del fiotto di greggio 24 ore su 24, gli americani condividono la rabbia della Casa Bianca per l'impotenza dei petrolieri e a Washington il Dipartimento della Giustizia sta valutando azioni legali a carattere penale. A Manhattan ieri 200 manifestanti si sono imbrattati di finto petrolio fatto di cioccolata e vernice davanti a una pompa di benzina. In Louisiana guida la polemica contro Bp, ma anche contro il governo federale, l'ex stratega di Bill Clinton James Carville: ''La gente qui crede in quel che vede. Mi sembra che il presidente Obama sia piu' arrabbiato con i suoi critici che con Bp'', ha detto Carville, che e' di New Orleans, guadagnandosi un rimbrotto del portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs: ''James non conosce i fatti''. Era da venerdi che negli stati del Golfo cresceva il pessimismo sull'esito di Top Kill, e anche adesso non ci sono certezze.

E mentre in Lousiana crescono le polemiche perche', secondo le autorita' locali (smentite da Bp), la multinazionale del petrolio ha organizzato soccorsi da palcoscenico in occasione della visita di Obama su una spiaggia di Grand Isle, il Dipartimento della Giustizia ha mosso i primi passi verso un'azione penale contro Bp per i comportamenti prima e dopo il disastro. Una squadra di procuratori e di investigatori guidata dagli Assistant Attorney General Ignacia Moreno e Tony West hanno cominciato a raccogliere prove in Louisiana per verificare se Bp abbia violato regole di sicurezza federali e fuorviato le autorita' assicurando che era in grado di contenere rapidamente la perdita di greggio. L'indagine del Dipartimento della Giustizia e' un passo preliminare prima di decidere l'apertura formale di una inchiesta, ma ad ogni buon conto l'amministrazione ha chiesto al Congresso dieci milioni di dollari per finanziarla.

NYT, BP SAPEVA DI CORRERE RISCHI - Bp era a conoscenza di una serie di problemi e nutriva forti preoccupazioni riguardo alla sicurezza della piattaforma Deepwater Horizon molto tempo prima della sua esplosione. Lo dimostrano documenti riservati del gruppo petrolifero rivelati dal New York Times. I problemi, secondo le carte, riguardavano il rivestimento del pozzo e il dispositivo anti-esplosioni, due elementi cruciali nella catena di eventi che hanno portato al disastro. I documenti rivelano che già lo scorso marzo, quindi un mese prima dell'esplosione, Bp aveva registrato difficoltà nel "controllo del pozzo". E quasi un anno fa, a giugno dell'anno scorso, gli ingegneri del gruppo petrolifero avevano manifestato dubbi sul rivestimento in metallo che Bp voleva usare: secondo gli esperti avrebbe potuto cedere sotto il peso di una forte pressione.

"Questa è naturalmente il peggiore degli scenari possibili", scriveva l'ingegnere Mark E. Hafle in un rapporto interno, "ma siccome l'ho visto accadere so che può capitare". Nonostante il rivestimento non rispondesse ai normali standard di sicurezza, Bp ha concesso permessi speciali per poterlo utilizzare. I documenti non spiegano perché sia stata fatta questa eccezione. Le carte fornite da Bp al Times la scorsa settimana avevano rivelato che i dirigenti del gruppo sapevano che il rivestimento utilizzato era l'opzione più rischiosa tra due.

domenica, maggio 30, 2010

Diminuisce del 5% il tasso di mortalità infantile tra i bambini dell’India

Nel 2010 gli scienziati prevedono 7,7 milioni di decessi in tutto il mondo fra i bambini sotto i 5 anni. Nel 1990 erano 12 milioni. La Chiesa cattolica seconda solo al governo nell’erogazione di cure mediche. Nel Paese oltre 5mila centri di cura cristiani, il 70% dei quali nascono nelle aree più povere e sperdute.

New Delhi (AsiaNews) – L’India registra una diminuzione annuale tra il 4 e il 5% del tasso di mortalità infantile sotto i cinque anni (under-5 mortality). È quanto emerge da una ricerca condotta dall’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) dell’università di Washington, che ha raccolto informazioni in 187 diversi Paesi in un arco di tempo che va dal 1970 al 2009. A livello mondiale, nel1990 le morti sotto i cinque anni toccavano quota 12 milioni. Per il 2010 gli scienziati prevedono 7,7 milioni di decessi, così distribuiti: 3,1 milioni di neonati; 2,3 milioni di morti post-neonatali; 2,3 milioni di bambini fra uno e quattro anni.

Negli ultimi due decenni il crollo nei decessi si attesta intorno al 35%, con una diminuzione annua attorno al 2%. I ricercatori sottolineano che il dato è inferiore al 4,4% annuo necessario per centrare il traguardo fissato dalle Nazioni Unite: abbattere dei due-terzi il tasso di mortalità infantile entro il 2015. Al momento sono 31 le nazioni in via di sviluppo in grado di raggiungere l'Obiettivo di sviluppo del millennio (66% entro il 2015). Tuttavia, secondo gli scienziati si è registrato un netto miglioramento: nel 1990 in 12 Paesi il tasso di mortalità era di 200 bambini ogni 1000 nascite. Oggi nessuna nazione al mondo ha un valore così elevato, sebbene restano ancora sacche di povertà e di degrado.

Tornando ai dati relativi all’India, in linea con gli obiettivi fissati dall’Onu, dalla ricerca emerge che oggi muoiono 20 neonati su mille in meno rispetto al 1990 (entro il 28mo giorno di vita). Per le morti post-neonatali sono 15 su mille in meno rispetto al 1990; 30 su mille in meno nella fascia tra gli uno e i quattro anni.

Suor Georgina, direttore dell’ospedale della Santa Croce ad Ambikapur, nello Stato centrale del Chhattisgarh, conferma ad AsiaNews l’impegno della Chiesa cattolica – attraverso i servizi per la salute – nella riduzione del tasso di mortalità neo-natale e infantile. Attiva nel campo della sanità dalla fine degli anni ‘60, la religiosa ha fondato la Raigarh Ambikapur Health Association (RAHA): “All’epoca, siamo nel 1968, dovevamo spostarci a piedi nelle aree più remote – spiega la suora – per portare medicine agli abitanti dei villaggi che vivevano nell’ignoranza, nella povertà, malnutriti e superstiziosi”.

“Abbiamo fondato 96 centri per la salute – continua – nelle aree agricole più sperdute, prive di qualsiasi accesso. Pur senza sostengo del governo, siamo riusciti a portare cure mediche e a ridurre il tasso di mortalità […] salvando i bambini dalla dissenteria gastrointestinale: esso è uno dei fattori più a rischio”. La suora aggiunge che “la Chiesa cattolica è il più grande fornitore di cure mediche dopo il governo” con i suoi oltre 5mila centri di cura, il 70% dei quali sparsi nei luoghi più sperduti e inaccessibili del Paese. Essi si ispirano al motto lanciato da Madre Teresa: “prendersi cura dei più poveri fra i poveri”.(NC)

sabato, maggio 29, 2010

Sudafrica: Medici Senza Frontiere denuncia la drammatica condizione dei rifugiati

Violenze sessuali, terribili condizioni di vita, molestie da parte della polizia, attacchi xenofobi e mancanza di accesso alle cure di base, rappresentano lo scenario con cui migliaia di persone vulnerabili si confrontano ogni giorno.

Radio Vaticana - E’ quanto denuncia l’Ong Medici Senza Frontiere profondamente preoccupata per la salute e per le condizioni di vita in cui versano migliaia di immigrati e di rifugiati in Sudafrica. L’organizzazione fornisce cure mediche gratuite e dà assistenza ai migranti e ai rifugiati a Johannesburg e nella cittadina di confine di Musina che si trova al confine con lo Zimbabwe. A Musina, dall’inizio dell’anno, è stato riscontrato un preoccupante aumento del numero di violenze sessuali e di rapine da parte di gruppi armati attivi in entrambi i lati del confine a danno dei migranti che lo attraversano. Sono stati trattati 103 casi di violenza sessuale nei primi quattro mesi dell’anno, 71 da marzo a oggi. Nel fornire assistenza ad una media di 2300 pazienti al mese nella clinica di Johannesburg, - riferisce l'agenzia Fides - l’Ong ha riscontrato una serie di patologie legate al sovraffollamento degli spazi abitativi e alle condizioni di vita estremamente precarie. Mentre alcuni migranti trovano rifugio in una chiesa metodista nel centro della città, migliaia continuano a vivere in edifici abbandonati in altre aree di Johannesburg, spesso senza luce, acqua e gas, con il rischio concreto di contrarre patologie come infezioni al tratto respiratorio, gastroenteriti, diarrea e infezioni cutanee. Violenze da parte delle bande che agiscono sul confine e incertezza sui documenti una volta entrati nel Paese, rappresentano il quotidiano per questa gente. Senza l’accesso alle cure mediche di base e senza un sistema di accoglienza dignitoso, la vita di migliaia di migranti in Sudafrica rimarrà estremamente precaria e incerta. Msf, inoltre, è impegnata in Sud Africa dal 1999 a Musina, Johannesburg e Khayelitsha vicino Città del Capo, con un progetto rivolto ai pazienti affetti da Hiv/Aids.

sabato, maggio 29, 2010

Stop all'esportazione di rifiuti nucleari dalla Francia alla Russia

Abbiamo scoperto che la multinazionale francese del nucleare Areva sta per bloccare l'esportazione delle sue scorie in Russia. I russi, nonostante il contratto con Areva scadrà solo nel 2014, hanno deciso di sospendere la collaborazione che dura dal 1972. Una vittoria della nostra campagna anti-nucleare.

GreenPeace - Dagli anni '80 a oggi abbiamo portato avanti numerose azioni di protesta per chiedere l'immediato blocco delle esportazioni di scorie nucleari in Russia. Queste denunce hanno avuto finalmente effetti reali.Areva oggi cerca di far credere che lo stop era già stato deciso da molto tempo. Né Areva né la società nucleare russa Rosatom hanno, però, chiarito le ragioni della cessazione anticipata di questo traffico ingiustificabile di scorie che si è svolto tranquillamente per anni.

Secondo i dati del governo russo, tra il 2006 e il 2009 sono state inviate in Russia 32.000 tonnellate di materiali radioattivi e ne sono state rispedite solo 3.090 dalla Russia alla Francia. L'esportazione di rifiuti nucleari in Russia è illegale: non solo viola la legge russa di protezione dell'ambiente del 1989, che proibisce l'importazione di scorie nucleari, ma anche la direttiva europea del 2006, che regola la sorveglianza e il controllo dei trasporti di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare irraggiato.

La direttiva europea prevede che chi spedisce all'estero i rifiuti nucleari debba assicurarsi delle condizioni in cui i rifiuti vengono gestiti nei Paesi destinatari. Al momento né Areva né l'azienda elettrica EDF, e neanche le stesse autorità di sicurezza nucleare francesi (ASN) sono in condizioni di misurare le condizioni di sicurezza in Russia, come confermato dalla stessa ASN. Per questo abbiamo denunciato alla Commissione europea che queste esportazioni violano una direttiva europea.

sabato, maggio 29, 2010

Marea nera. Obama in Louisiana: "non vi abbandoneremo"

Per la seconda volta in un mese, il presidente Barack Obama è tornato sulle coste della Louisiana, lo Stato più colpito dalla marea nera provocata dalla falla in un pozzo di petrolio, dopo l’affondamento di una piattaforma della British Petroleum.

Radio Vaticana - Il capo della Casa Bianca, preoccupato per il calo di consensi, ha voluto testimoniare il suo impegno per risolvere la situazione. “Non vi abbandoneremo” – ha detto alle popolazioni dei 5 Stati colpiti dal disastro ambientale. Il servizio è di Elena Molinari (ascolta):

Secondo le stime sono 68 milioni i litri di greggio che si sono riversati in mare dal 20 aprile scorso. Una catastrofe ambientale senza precedenti, che potrebbe avere pesanti ripercussioni sull’intero ecosistema del Golfo del Messico.
Massimiliano Menichetti ha intervistato Ezio Amato, già responsabile del servizio emergenze ambientali in mare dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, oggi in forza alle Nazioni Unite. Ascoltiamo (ascolta):

R. – Questo è sicuramente uno dei più gravi disastri, per due ordini di motivi: la quantità di olio versata e l’altro aspetto rilevante è il fatto che l’olio viene da 1.500 metri di profondità, affliggendo soprattutto quello che è invisibile, cioè la colonna d’acqua e i fondali. Come abbiamo potuto vedere dalle cronache, abbiamo le spiagge che sono state colpite ma il vero disastro, a mio avviso, è quello che sta avvenendo sui fondali e quello che avverrà negli anni a venire. Sono effetti che chiamiamo cancro, mutagenesi, teratogenesi.


D. – C’è cautela per quanto riguarda l’operazione “Top Kill”, che cerca di creare un tappo sul fondale marino. Andrà a buon fine?



R. – E’ una tecnica sicuramente in linea di principio efficace, che può servire a fermare il flusso continuo di grezzo dal fondale. Rimarrà poi il problema di come affrontare le migliaia di tonnellate che in questo momento sono sott’acqua.


D. – Si stanno utilizzando dei “disperdenti”. E’ una scelta giusta?



R. – Relativamente. Disperdono la chiazza in miliardi di particelle sub-millimetriche che sono senz’altro più aggredibili della massa di petrolio da parte di microrganismi deputati a degradarli. Considerato però quello che sta fuoriuscendo, ancora una volta la maggior parte dell’olio non viene in superficie ma rimane intrappolata lungo la colonna d’acqua, sui fondali, dove i disperdenti sicuramente non hanno nessuna efficacia.



R. – E quelli che sono stati utilizzati direttamente sulla testa del pozzo?


D. – Il risultato che producono è quello di impedire che emerga una grande chiazza di petrolio. Ma, da un punto di vista ambientale, il risultato non cambia, anzi può essere anche peggiore proprio perché queste microparticelle di petrolio che sono state disperse dall’utilizzo di questi prodotti, sono poi in grado di affliggere più facilmente tutti quegli animali che vivono, per esempio, catturando ciò che è sospeso nella colonna d’acqua o filtrando l’acqua, come fanno le nostre pozze. Quello che è riducibile è l’aspetto visivo, estetico, dei siti colpiti. Ma gli effetti a lungo termine, purtroppo, sono difficilmente minimizzabili.


D. – Questo per quanto riguarda i disperdenti. Ma ci sono altre tecniche che potrebbero essere utilizzate oppure, allo stato attuale delle conoscenze, quella è l’unica via?


R. – Le tecniche sono soltanto due: quella di disperderlo e quella di bruciarlo, ma abbiamo visto che anche quello serve soltanto a trasferire l’inquinamento ancora una volta dalla superficie del mare verso i fondali – le particelle carboniose che affondano – e nell’atmosfera, con i fumi che s’innalzano nell’aria. Per il resto, non ci sono altri mezzi che possono essere utilizzati se non la raccolta meccanica - quella che stanno facendo – ma è chiaro che quando si è di fronte ad una situazione di grande marea nera come questa, il massimo dell’efficienza sta nella raccolta del 10-15 per cento di quello che si è versato in mare. Questo non vuol dire che l’85 per cento finisce sulle coste, perché parte del grezzo viene naturalmente degradato attraverso processi fisico-chimici di diverso tipo, ma senz’altro una parte cospicua, pur sostanzialmente degradata, non lo è così tanto da sparire dal punto di vista degli effetti nocivi.



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